Acri, l’illusione della realtà

Ciò che ci inganna sul mondo che vediamo è a volte ciò che ci piace vedere, non tanto ciò che realmente vediamo.

Anni e anni di illusione del reale ci hanno modificato lo sguardo, ci hanno assuefatti, abituati a convivere al lento e inesorabile declino della comunità, dei valori, delle risorse, ad Acri come in molte realtà del Sud.

Vorremmo svegliarci da questo inganno e tornare a guardare con occhi nuovi e lucidi ciò che accade, accaduto, accadrà, ciò che dovrebbe e vorremmo cambiare, a partire da ciò che l’antropologo Mauro Minervino ha ben descritto nel suo “stradario di uno spaesato”, quando descrivendo la realtà in cui ha scelto di rimanere, scrive con sofferenza “vorrei sterminare la folla dei pilastri, le siepi dei muri accecati, i grovigli di ferri arrugginiti”.

Ecco, ci siamo assuefatti al brutto, al degrado, al precario, al provvisorio, ci fermiamo alla superficie delle cose, ci accontentiamo di aver fatto, e non di avere fatto bene, e anche per questo abbiamo smarrito la via del bello.

Ieri Acri ha recuperato alla collettività (speriamo!) due antichi palazzi che erano appartenuti alle famiglie Sprovieri e Feraudo. Due dei tanti palazzi nobiliari caduti nell’oblio, nel degrado, saccheggiati, derubati di beni e arredi che avevano perso la loro antica bellezza, conservandone tracce.

Acri, si è così prodotta, attraverso i suoi rappresentati istituzionali, nella solita parabola retorica, una certa pompa magna, anche un pò fuori luogo dato il momento, e ha accolto il recupero dei due ex palazzi nobiliari, il cui restauro (si fa per dire) dovrebbe dunque restituirli a nuova vitalità. Devo subito dire che ad uno sguardo attento, oltre il momento trionfalista dei nastri che si tagliano con facilità, ho dovuto distendere un pietoso velo sulla qualità progettuale di questi restauri, che, ora come altre tante occasioni, invece di essere affidati a professionisti di qualificato curriculum con esperienze significative nel delicato equilibrio tra antico e nuovo, sono stati dati a pochi, fedeli “professionisti”, suppongo secondo il famoso manuale Cencelli.

È una triste prassi questa, ad Acri, al Sud soprattutto, che ha prodotto danni incalcolabili ai patrimoni pubblici, perché la mancanza di cultura progettuale non solo produce e riempie le città nuove e quelle storiche di brutti edifici, ma fa spendere di più perchè realizza pessimi interventi edilizi, che nel tempo si deteriorano facilmente.

Dunque il risultato di questa “maestria” di restauri, supportata pure da funzionari delle Soprintendenze, che dovrebbero garantire il massimo della qualità, ma chiudono due occhi e non uno, è che un antico palazzo, Sprovieri, diventa una palazzina popolare con una spruzzatina di apparente, finto lusso, improbabile arredamento in uno stile “che il mobiliere sotto casa mi ha prestato un pò di cataloghi, così ho scelto gli arredi”, in variegate forme e colori post moderni, che nulla hanno a vedere con il rigore e l’eleganza di un antico ex palazzo, cui sono state rifatte pareti dai soliti giallino e celestino, finte travi in legno, molte finte porte antiche, molte finte finestre antiche, e naturalmente pavimento finto antico in un trionfo di marmi, marmette, cotto e cottini! Insomma quel solito guazzabuglio che denota mancanza di solida cultura architettonica, ma soprattutto carenza di minimo buon gusto, e manca in particolare di una colta e intelligente committenza: quello che fa la differenza nella riuscita di ogni buon progetto.

Nel palazzetto Feraudo invece ad uno strano e fumettistico colore esterno si contrappone un interno che sembra l’albergo dei poveri di trecento anni fa, e dove forse sarà meglio non fare altro intervento, perchè magari resterà più autentico e affascinante così delabrè come è stato inaugurato, che non con successive aggiunte posticce e finto antico.

Parliamo di opere pubbliche, investimenti consistenti che dovrebbero servire a rilanciare l’economia, la cultura, l’accoglienza in una piccola, marginale città, che domani, dopo questa provinciale ubriacatura di inaugurazioni, si ritrova di nuovo a confrontarsi in un mondo globalizzato in cui la differenza la fa la qualità elevata, e non il guazzabuglio di forme e stili, non la mancanza di idee complessive e di strategie del futuro, che non possono essere sostituite da interventi ogni volta episodici: uno o due palazzi recuperati non producono in automatico il recupero di un intero centro storico, ci vuole ben altro. Questo semmai vuol dire, nel gioco dell’illusione del reale, che hai una bella nuova camicia e cravatta, ma un vestito scadente e rattoppato.

Aver perduto l’alto senso del decoro, il saper fare le cose, con gusto, eleganza, stile, finire con il guardare la realtà e accontentarsi comunque di qualcosa che è stato fatto e che va bene per forza, è un’altra grande mistificazione che ci condiziona e ci sta portando ad una miseria quotidiana di senso civico ed estetico sempre più bassi e poveri.

Il confronto semmai, per non illudersi ancora, va fatto con quei luoghi, quelle città piccole, medie, quei centri urbani che hanno saputo fare dell’innovazione un elemento di forza, attraverso la costante messa a sistema di un dialogo tra la tradizione e la modernità vera, tra cittadini e istituzioni, centri che hanno saputo restare locali ma sono in una rete globale di eccellenze, anche al Sud, che hanno saputo scegliere una strada semplice, fatta di poche, essenziali ma fondamentali cose, che hanno fatto avanzare l’economia, senza illusioni del reale, ma lentamente riconquistando bellezze smarrite nella coerenza!

Pino Scaglione

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