Saggezza popolare e filosofia del quotidiano

Il nostro popolo è stato, storicamente, assai parco di parole, estremamente essenziale. In pochi vocaboli si cercava di trasmettere messaggi utili per la vita e la condotta di ogni giorno. I detti popolari sono una sintesi e un equilibrio perfetto tra esigenze comunicative ed essenzialità del messaggio stesso: in tal modo il messaggio risultava più facile da trasmettere e memorizzare.

Vogliamo soffermarci, oggi, su due detti popolari che troviamo estremamente belli ed incisivi per il messaggio che intendono lasciare.

Il primo è: “A gallina fa l’uovu e allu gallu lli’ vruscia llucudu”.

In questa espressione è racchiusa una grande verità, valida, evidentemente, non solo ai giorni nostri. Quante volte ci è capitato nella vita di udire gente che fa poco o nulla lamentarsi per l’eccessivo carico di lavoro, mentre chi realmente lavora e produce non si lamenta. Quale migliore metafora di questa paradossale e sempre valida condizione che quella elaborata dal nostro popolo? Com’è noto, il gallo è l’assioma del privilegiato nel pollaio, che fa poco e domina incontrastato, mentre la povera gallina si sobbarca il carico di lavoro maggiore. Il paradosso è che chi lavora sta zitto e chi gode si lamenta.

Il secondo detto, anch’esso straordinariamente bello è:  A liettucu’ duormi ti pàri vammàcia”.

E’ un po’ una versione nostrana del più noto “l’erba del vicino è sempre più verde” ma, se ci è concesso, molto più originale e calzante. Il letto simboleggia la condizione esistenziale di ognuno, spesso giudicata non soddisfacente secondo il credo leopardiano (traslato dalla filosofia di Shopenhauer), secondo il quale la felicità consiste nell’effimera ricerca di una condizione o di uno stato, che, una volta raggiunto non ci soddisfa più. Il letto che non conosciamo, per non averci dormito direttamente, ci appare più morbido. E’ solo una volta sperimentato che potremo scoprirne i difetti e finirebbe per non apparirci più come prima. In pratica, sembra dirci la saggezza popolare, è solo dalla sperimentazione e dal vissuto comune che si possono conoscere le cose e soprattutto le persone, che, a una valutazione superficiale potrebbero darci un’immagine fuorviante. 

I detti popolari e i proverbi ci tramandano non solo un modo di essere e di pensare di un mondo contadino ed arcaico ma anche una filosofia esistenziale di gente abituata ad arrangiarsi come poteva per sopravvivere. Ogni esperienza, ogni gesto, poteva essere fonte di pericolo e insidie. Emerge, insomma, una diffidenza di fondo nell’uomo, che, in molte occasioni appare davvero difficile immaginarlo come figlio di un Dio. E quand’anche fosse così, ci sarebbe da sperare che non lo avesse fatto a sua immagine e somiglianza.

Massimo Conocchia

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