Terminata la stagione del “Biondo di Trebisacce”, l’arancia tardiva.

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Forse era già terminata il 14 luglio 2020, quando Franco Maurella ne aveva scritto esaurienti note sul Quotidiano del Sud, edizione Cosenza.
Il giornalista aveva informato che il “Biondo tardivo di Trebisacce” pur trovandosi da poco nel Registro Nazionale delle Varietà Piante da Frutto, era conosciuto da tempo in Italia: infatti veniva premiato nel 1933 alla I Mostra Nazionale Agrumicola di Palermo e, l’anno successivo, alla XV Fiera Campionaria Agrumi di Milano.
La qualità più saliente di quest’arancia è la succosità del frutto, dal sapore dolce e dal gusto intenso.
Franco Maurella ci informa che il “Biondo di Trebisacce” viene tuttora “consumato fresco per un’insalata agrodolce insieme a finocchio, olio d’oliva, sale, pepe nero e gocce di limone” ma che è ottimo anche per fare “marmellate, frutta candita, dolci, sciroppo, granite e liquori”.

La preziosità del “Biondo di Trebisacce” risiede nell’insolito periodo di maturazione (da marzo agli inizi dell’estate) dovuto alle caratteristiche della varietà ben acclimatata nella zona di coltivazione (oggi le piante hanno solo piccoli frutti verdi)..
Purtroppo, la limitatezza dell’area (un triangolo di circa 65 ettari posto a SW di Trebisacce fino alla riva sinistra della F.ra Saraceno) e la parcellizzazione dei poderi non garantiscono lo sviluppo commerciale dell’agrume o la sua commercializzazione oltre il territorio comunale.
Eppure una volta, secondo Nicola Russo (77 anni), uno dei più attaccati coltivatori (“vignaruoli”) e proprietario di 16,5 are di terreno tutte con piante di “Biondo”, i giardini (noti come “le vigne”) servivano a sfamare intere famiglie. L’area in questione, ubicata sul letto della fiumara, era coltivata, in origine, a vigne, poi venne destinata alla produzione di limoni ed in ultimo a quella delle arance.

Questi cambi di coltivazione, molto probabilmente, saranno stati motivati dagli effetti dannosi degli innalzamenti della falda freatica nel sottosuolo o degli alluvionamenti della fiumara Saraceno, come quello avvenuto nel 1933 che indusse a ripiantare gli stessi agrumeti.
I fondi agricoli, essendo a ridosso dell’abitato di Trebisacce, venivano utilizzati anche per rinchiuderci animali da cortile e da soma, che provvedevano a tenere pulito il terreno dalle erbe e a concimarlo col loro letame. Si assicurava, così, una produzione biologica. Quella di oggi, comunque, non si discosta molto da quella antica per la dedizione dei suoi coltivatori e per l’accoglienza che riceva dal mercato.

La promozione e la valorizzazione di un prodotto autoctono o del patrimonio storico-archeologico locale deve essere l’obiettivo principale di ogni Amministrazione comunale, specialmente quando il paese, per carenze occupazionali e per la posizione geografica (interno e di montagna), rischia lo spopolamento.

Francesco Foggia

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