“Vota cannella ch’è gadantomu”

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Questa espressione, ormai desueta, ben descrive un concetto nostrano di lotta di classe a basso costo e, insieme, una forte carica di ironia da parte del nostro popolo nei confronti dei cosiddetti “galantuomini”, ossia i padroni, visti sempre come fumo negli occhi in quanto espressione di sfruttamento  e prepotenze. Il detto si riferisce a una circostanza precisa, nella quale, di fronte alla necessità di gonfiare un asino morto, per separare la pelle dalla carne, in modo da renderne  più agevole la rimozione, si era costretti a usare una canna per soffiare aria dentro alla bestia. In epoca precompressori questa operazione veniva eseguita col fiato, dandosi ciclicamente il cambio per riprendersi dalla fatica. Accadeva così che, quando era il turno di un nobile, questi si rifiutava di mettere la bocca sullo stesso boccale su cui avevano soffiato i plebei, che, prontamente, esaudivano il suo desiderio gridando a uno di loro: “vota cannella ch’è gadantomu”. In un attimo il titolato si ritrovava  a soffiare non dalla parte usata dagli altri ma dalla estremità opposta, che era stata posizionata nel deretano dell’animale.  L’espressione, nel tempo, è stata usata in modo estensivo adattandola a varie situazioni, tra cui il riferimento a chi ha intenzione di cambiare le carte in tavola e cercare di fregare l’interlocutore, per cui gli si intimava: “’u votàri cannèlla cu’ mia”, ossia non permetterti il lusso di cercare di imbrogliarmi.

Questi ed altri aneddoti esprimono l’essenza di una società rigidamente divisa in classi, nella quale gli scambi sociali erano impossibili e chi nasceva povero, tale moriva. All’interno di un sistema sociale immobile e sclerotico, nel quale a pagare il conto era sempre il più debole, cresceva il rancore e la rabbia del popolo nei confronti di soprusi e privilegi, che non trovavano giustificazione alcuna se non la pretesa di sentirsi superiore per nascita o censo. Questa condizione di sudditanza spiega bene il fascino che ideologie come quella socialista e, poi, comunista, hanno esercitato nel popolo, al quale poco importava di dottrine e vedeva in quella fede la possibilità di riscatto sociale e rivalsa da parte di chi aveva sempre subìto nei confronti degli sfruttatori. Sappiamo bene che quelle ideologie non hanno retto, né potevano reggere, all’urto della storia e delle enormi contraddizioni che si portavano dietro. Il fascino esercitato da quel vessillo rosso e da inni come “Avanti popolo alla riscossa….” non poteva che avere successo nella mente e nell’animo di chi viveva una condizione di sudditanza e umiliazione. In tutto questo meccanismo si sono inseriti, poi, lestofanti e furbi, che, in nome del popolo, a tutti i livelli e in tulle le latitudini, si sono ampiamente fatti i loro affarucci personali. Ma questa è un’altra storia.  

Massimo Conocchia

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