A proposito di statue

A proposito di statue, nel ricercare fra vecchi giornali, abbiamo rintracciato una chicca.

La visita di Vittorio Emanuele II a Napoli poneva un problema ai bipedi a schiena ritta e un giornalista, nell’ottobre 1860, scrive su un quotidiano, che si pubblicava in Napoli-Milano, qualcosa di interessante. Eccola. La trascriviamo pedissequamente:

“                                                       LE STATUE REALI

Il Municipio di Napoli, non sapendo in qual modo celare alla vista di Vittorio Emanuele, le due statue Borboniche che stanno nel largo di S. Francesco di Paola (ndr oggi Piazza Plebiscito), pensò di farle ricoprire con baracche di tavola, che saranno, facilmente a lor volta ricoperte di stracci più o meno damascati. L’idea uscita dalla mente dei signori del Municipio, non raggiunge certamente la felicità artistica del pensiero espresso, riguardo a quelle statue, dal P. Gavazzi, il quale aveva progettata la loro decapitazione, e la sostituzione a quelli stessi busti delle teste di Vittorio Emanuele e di Garibaldi”.

Il giornalista considera: “È un fatto che il criterio artistico, e il senso comune non sono di tutti”

“Ma per tornare al Municipio – continua -, noi lo preghiamo di considerare, che quelle due statue sono una pagina di storia, che la storia non si cancella, che se in Francia i diversi governi che si sono succeduti, avessero voluto distruggere tutti gli oggetti d’arte che ricordavano signorie cadute, avrebbero gettato a terra mezzo Parigi. La colonna della piazza Vendome da una parte, la statua di Enrico IV sul Ponte nuovo dall’altra, quella di Napoleone agli invalidi, quella di Luigi XIV in piazza Vittoria. A tuttocciò aggiungiamo che oltre ad essere una pagina storica, è pure una lezione storica.

Bastava, ad esempio dei posteri, apporre sul piedestallo una leggenda che svelasse le loro fortune, e in poche parole racchiudesse i casi della loro rovina”.

La dicitura proposta, scritta in neretto, è la seguente:

Era una famiglia di tiranni

ed è caduta.

 Il giornalista considera, poi:

“Queste parole tornerebbero d’insegnamento alle generazioni venture; le barracche, le decapitazioni sono o ibridismi, o patemi fanciulleschi; e dippiù n’ è deturpata la Piazza. Che il Re vegga le statua: a lui, uscito grande per virtù, e per devozione alla causa della patria, non increscerà di riguardare caduti coloro che ànno calpestata la nazione e disconosciuta la virtù”.

Non vogliamo con ciò entrare nella polemica sulle statue al giorno d’oggi, abbiamo voluto solo riportare il clima che si viveva in quei primi mesi posteriori alla Spedizione dei Mille.

La piaggeria, come riporta il quotidiano liberale, rasenta il ridicolo.

La proposta? Ognuno giudichi come vuole.

Giuseppe Abbruzzo

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