Buona vita alla tarantella
Alcuni anni fa, ho indagato su una probabile manifestazione popolare acrese connessa alla tarantella profana. L’indagine ha tenuto conto delle pratiche coreutiche diffuse, nonché delle possibili derivazioni confluite in un’espressione autoctona. Qui ad Acri la tarantella, dal punto di vista coreutico, non si discosta dalla generica tarantella calabrese, della quale conserva quel simbolismo strettamente legato alla comunità e al territorio: espressione di relazioni, la “rota” poteva rappresentare un ballo di gioia, se si eseguiva con un parente o amico; un ballo di potere, se personaggi importanti della comunità ne occupavano il centro; un ballo di competizione, se eseguito da persone dello stesso sesso; o anche un ballo di corteggiamento, se nelle sue figurazioni veicolava un’alta carica di erotismo. Gli approfondimenti compiuti mi hanno insinuato il dubbio sulla liceità della codificazione di passi e gesti per ricostruirne a posteriori la memoria. Mi hanno fornito risposte i trattatelli ottocenteschi sul ballo napoletano, contenenti descrizioni e illustrazioni. L’album di Gaetano Dura del 1834, per esempio, è composto da diciannove tavole con note esplicative da ritenersi completamente estranee all’autentica danza popolare napoletana. Tali pubblicazioni, infatti, si riferivano alla tarantella praticata come ballo di sala, secondo la moda dei salotti di primo Ottocento. Fuorvianti risultano anche le testimonianze letterarie di viaggiatori stranieri, che raccontano le esperienze di viaggio con occhi affascinati. Attraverso la trattatistica ottocentesca e la letteratura di viaggio, quindi, non è possibile ricostruire la gestualità della tarantella profana con certezza scientifica. Lo ha ribadito più volte Roberto De Simone, il quale sottolinea in particolare che, mentre nel tarantismo i documenti sono stati redatti per lo più sotto il profilo scientifico, la tarantella profana nel Settecento e nell’Ottocento è stata argomentata come prodotto convenzionale delle culture dominanti, sradicata cioè dai suoi contesti socioculturali di origine. Alla luce di questi approfondimenti, è emerso che fondamentalmente la tarantella si distingue per aspetto e forma in due tipi, sulla base della classificazione popolare in tarantella semplice e tarantella complicata. La tarantella semplice è una danza di possessione; la tarantella complicata è un ballo erotico con esplicita rappresentazione dell’accoppiamento sessuale. Nella tarantella profana prevale la libertà gestuale, quella spontaneità che esclude, cioè, la possibilità di predeterminazione. Dunque, il suo movimento non è strettamente codificabile e, come in ogni repertorio di tradizione popolare e trasmissione orale, è difficilmente tramandabile, trovando piuttosto piena realizzazione coreutica solo nella sua forza espressiva, nella musica a cui si lega inscindibilmente, e nello spazio di tempo in cui viene eseguita. Sarebbe, allora, interessante analizzare l’attuale fenomeno delle scuole di tarantella, nelle quali si partoriscono codificazioni coreutiche improprie e infondate. I processi di recupero che prevalgono oggi tendono a spettacolarizzare il folclore in evento di massa, snaturando e decontestualizzando la tarantella. Si pensi al folk-revival giovanile urbano, che svuota le funzioni proprie del ballo e vi aggiunge forme e finalità nuove, simili piuttosto ai raduni di concerti rock e di discoteca; e a quei pellegrinaggi laici di masse di giovani che si immergono in manifestazioni globalizzate, dando vita piuttosto ad una danzamania medievale. È il caso di chiedersi allora se questi nuovi comportamenti, che hanno ad ingrediente primo la tarantella, siano da considerarsi evoluzioni della forma antica o, piuttosto, il definitivo smantellamento di una tradizione di balli e del portato di un’intera cultura demologica a essa legata. Per concludere, trovano qui risposta le parole del professore Giuseppe Abbruzzo, contenute nell’articolo “W la tarantella”: ad Acri, paese montano, il ritmo è brioso al massimo, ma nessuno, ripeto nessuno si è preoccupato di spiegare quello che il coreografo paesano ha voluto rappresentare. Parlare di tarantella, in questo caso, significa parlare non di un’esecuzione interpretata ma di un movimento spontaneo e non predefinito attraverso il quale esprimere una comunicazione emozionale e situazionale. Lo conferma il componimento poetico di Biagio Autieri ‘A festa ‘e di spichi, riferito dallo stesso professore Abbruzzo, che testimonia di una tarantella di corteggiamento contestualizzata in ambiente agreste in occasione di un raccolto. Ciò che il coreografo paesano ha voluto rappresentare è evidente in sé.
Michele Ferraro
Ciao vorei parlare se e possibille con il diretorre di ballo Massimo Acri .