Come ripensare le città del dopo Covid-19. Intervista de “Il Sole 24 Ore” all’architetto Pino Scaglione

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Ripensare le città dopo la pandemia. Dalla necessità che, per evitare di trovarsi impreparati, si inizi a discuterne proprio adesso che l’emergenza non è ancora passata, nasce l’iniziativa che ha portato oltre 40 riconosciuti protagonisti del mondo culturale, scientifico, politico, civile italiano, intorno ad un tavolo. Tra gli altri, Pappi Corsicato, Graziano Delrio, Nicola Gratteri, Mimmo Jodice, Oliviero Toscani, Andrea Bartoli e Pierre-Alain Croset si sono confrontati per formulare idee sul rilancio delle città. Sul numero zero della rivista “Disegnoallitaliana” sarà pubblicato un quadro d’insieme oltre ai contributi dei ministri Gaetano Manfredi, Giuseppe Provenzano e Sergio Costa e quelli di Giovanni Maria Flick, Massimo Cacciari , e altri.
A farsi promotori dell’iniziativa tre architetti: 
Vincenzo Corvino, Raul Pantaleo e G. Pino Scaglione , che nel loro laboratorio “RiAgIta ”, acronimo di “Ripensare, Ripartire, Agire, Laboratorio città Italia”, si sono fissati l’ obiettivo di trovare, nelle tappe di lavoro previste, l’humus e lo spazio necessario per far ripartire nuovi sguardi, nuovi progetti, nuove traiettorie per rivoluzionare, in concreto, i modelli abitativi e sociali, nonché produttivi ed economici dell’Italia.

Architetto Scaglione, voi di RiAgIta proponete dopo lo tsunami mondiale da Covid-19 un “differente modello di habitat, ripensando le relazioni sociali e culturali nelle Città” e un ritorno al passato delle nostre città. Ci vuole spiegare la vostra proposta?
« La proposta RiAgIta, Laboratorio dedicato alle città italiane, ha alcuni importanti obiettivi che muovono da una evidenza planetaria: le città, che restano la più grande invenzione dell’uomo, perché è qui, nel corso della storia, che le persone e le economie, le culture si incontrano, oggi sono drammaticamente in crisi, soprattutto nelle grandi conurbazioni, per la progressiva scomparsa del necessario equilibrio tra Uomo e Natura. La pandemia non ha fatto altro che far balzare agli occhi di tutti questa difficile, diffusa condizione degli habitat umani.
La nostra ambizione è iniziata, dimenticando ogni istanza “corporativa” di architetti, con l’ascoltare e coinvolgere, oltre quaranta prestigiosi protagonisti della società moderna italiana, per “ri-agitare” il pensiero e focalizzare un progetto di “cura e attenzione” per le città e i luoghi urbani in Italia, mettendo al centro la società, e orientando lo sguardo dei decisori alla città come luogo di cui prendersi cura, insieme alle persone e luoghi che abitano e vivono.
E’ la sana ambizione di innescare una nuova “rivoluzione urbanistica” che riporti l’architettura delle Città, la Bellezza, la Natura, nelle principali agende della Politica italiana, già da ora e per i prossimi anni.

Se certamente il vostro progetto non stupisce faccia riferimento alla lezione di Gio Ponti, appare inusuale per la contemporaneità che fra i vostri fari ci sia Papa Francesco con la sua Enciclica sull’ambiente…
« Gio Ponti, e non solo! Luigi Figini, per esempio, alla fine degli anni Quaranta ha pubblicato un bellissimo libro “L’elemento verde e l’architettura” nel quale tratteggia una necessaria via italiana all’abitare in equilibrio con la natura e l’ambiente.
RiagIta ha assunto i Maestri del Modernismo nazionale, dell’architettura, delle arti, dell’estetica, come esperienza di continuità della bellezza italiana, e come primo, attuale, importante riferimento Papa Francesco, perché è stata la prima “autorità internazionale”, che ormai cinque anni fa, ha messo a nudo come l’essere umano abbia necessità di una “ecologia integrale”, assumendo il termine “ecologia” nel significato profondo di approccio a tutti i sistemi complessi, dunque anche nel progetto della città, per uscire «dalla spirale di autodistruzione in cui stiamo sprofondando», ovvero siamo sprofondati, oggi! »

Le città hanno mostrato con l’emergenza coronavirus tutte le loro fragilità, la campagna e i paesi stanno riscuotendo un interesse perduto. Cosa ne pensate? E come si potrà integrare l’entroterra con le metropoli?
«Siamo fortemente convinti che l’Italia debba avviarsi verso una profonda transizione ecologica, anche per ritrovare parte del suo DNA mediterraneo che nel paesaggio affonda una significativa identità. Questo vuol dire anche un necessario riequilibrio tra aree forti -urbane- e aree marginali -centri minori, paesi, borghi- verso una esperienza progettuale di “città nella natura”. Il legame tra le città e i centri minori -in molte parti d’Italia, negato e rimosso- sono i “corridoi ecologici”, le infrastrutture della natura, fiumi, torrenti, laghi, vallate, in pratica quell’insieme di habitat, tra di loro interconnessi, che mantengono il grado di biodiversità e l’equilibrio ambientale. Riattivare questi corridoi, attraverso sensibili progetti di paesaggio, interrompe il cortocircuito tra uomo e natura, tra città e aree interne. Più campagna per la città, più ecologia per tutti, più ossigeno e aria pulita, meno concentrazione urbana-metropolitana, più diradamento edilizio con “intervalli” ecologici, per riabitare i centri minori anche con l’aiuto della tecnologia e il telelavoro».

Cosa pensate di realtà integrate come quella di Helsinki e quali sono i modelli europei per voi più vicini al vostro progetto?
« Le città del Nord Europa, hanno scelto da tempo di mettere in atto la transizione ecologica, Helsinki è stata tra le prime, e l’architettura e il design sono protagoniste capaci di tradurre in spazi di vita collettiva queste scelte e la rivoluzione urbanistica-ecologica. Occorre ricordare, più vicino a noi, anche Barcellona, la prima città che ha lavorato sugli spazi aperti, le piste ciclabili, i grandi spazi verdi, la mobilità ecologica. Per noi resta un modello insuperato.
Oggi, la neo commissaria UE, Ursula von der Leyen, con il New Green Deal lancia una sfida a tutte le nazioni d’Europa, e pensiamo che l’Italia sia pronta e faccia la sua parte, ma con intelligenza, creatività, progettualità e una idea di paese con una visione strategica per il presente e un diverso domani organico, non più dettato dalle emergenze, ma capace di colmare un vuoto che dura da troppi anni nella costruzione di una, necessaria, grande “Planimetria d’Italia”».

Lo sviluppo in verticale allontana l’albero dalle sue radici…a che tipo di proposta pensate?
« Gli alberi hanno necessità di trarre la propria linfa dal suolo, devono insistere sul terreno. I maestri italiani del Novecento, e il grande architetto moderno Alvar Aalto, ci hanno insegnato la Continuità tra Natura e Artificio, per questo RiagIta propone di tornare a rendere necessaria la fiducia nel progetto di architettura, per definizione azione sostenibile di trasformazione dell’ambiente e compatibile con il paesaggio. La città deve tornare a vivere dentro i “processi naturali” e gli edifici devono instaurare un dialogo fecondo con i luoghi in cui nascono, come se fossero da sempre parte di quei luoghi e non “avulsi, chiusi, tristi!»

Giardini e terrazzi sono la nuova frontiera per le famiglie italiane, segregate spesso senza neppure un balcone…
« Si, lo spazio intimo dell’abitare anche all’esterno tornerà ad essere uno spazio vitale, uno spazio desiderato. Un’occasione per vivere l’uso “dall’interno e dall’esterno” di una casa che appartiene a tipologie consolidate dell’architettura. E’ il caso della casa a patio che ha realizzato esperienze costruttive straordinarie sin dall’antichità o anche in epoca moderna, realizzando questi spazi come vere e proprie “stanze a cielo aperto”. La nostra idea muove dalla tradizione mediterranea delle “Stanze a cielo aperto”, di cui siamo ideatori e detentori e che dobbiamo riscoprire nei processi di rigenerazione urbana del patrimonio, anche per attuare il diradamento edilizio e sociale, e godere di un modello di abitazione più” open air».

E la piazza, da sempre cuore pulsante delle nostre città tornerà, ad essere tale come spazio di raduni e confronti?
« Le piazze nascono nella città greca: l’Agorà era il luogo pubblico per antonomasia concepito dentro la città per soddisfare l’esigenza di disegnare e costruire spazi di incontro per gli uomini.
Le piazze e il sistema degli spazi pubblici sono e resteranno lo spazio privilegiato delle città. Cambieranno usi, modalità di vivere le piazze, e a questo cambiamento serve secondo RiAgIta un nuovo ruolo sociale dell’architettura che sappia adeguare continuamente ai nuovi usi, ma con ritrovata coerenza, spazi aperti e chiusi.
Nelle Città, luoghi dell’accadimento dell’architettura, gli spazi tra gli edifici svolgono un ruolo decisivo per definire i caratteri di urbanità e condivisione, ma le piazze senza cittadini sono prive di fascino e di interesse, e in questa ottica il ruolo delle Comunità che partecipano alla vita della città deve tornare necessario».

L’attenzione all’ambiente e ai materiali cosa vi fa preferire?
« La sintesi più interessante oggi è la sperimentazione tra tecnologia e natura: facciate e superfici ecologiche, materiali riciclabili, il legno che sostituisce il cemento, le alghe come filtri antinquinamento, edifici che respirano e si adattano alla luce, al calore. Soprattutto per abbattere l’inquinamento occorre ripensare tutto il nostro modo di abitare e costruire: ridurre le emissioni, in estate e inverno, abbattere i consumi energetici, per avere edifici intelligenti, capaci di farci vivere meglio senza rinunciare al comfort. Questo significa rimettere in modo sano economia e ritrovata bellezza delle città italiane, ma anche molto lavoro per molte categorie, agli architetti il compito di coordinarle per fare, con l’occasione, città ed edifici esteticamente degni di una civiltà in cui bellezza e natura tornano a fare rima con architettura! Pensiamo infine sia venuta al capolinea la volontà di costruire grattacieli in vetro in città di origine desertica. La pandemia è un monito che dobbiamo raccogliere: usare comportamenti responsabili e costruire città compatibili con l’ambiente, riconquistando un ruolo di ospiti graditi sul nostro Pianeta. Se il Covid ha trovato diffusione in aree inquinate, attraverso il danneggiamento all’ambiente del nostro costruito, dei nostri sistemi di mobilità inquinanti, ci giochiamo il presente e il prossimo futuro se non provvediamo subito ad invertire la tendenza».

Fonte: Il Sole 24 Ore

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