Altro che tesoro!
L’arresto di un cosiddetto “mago” e il coinvolgimento di persone, che sostengono di essere state truffate, ci richiama alla mente un fatto avvenuto oltre un secolo fa. Sembrerà incredibile l’episodio che si riporta, ma lo è anche quanto avviene oggi.
Possibile che vi sia ancora gente che crede ai maghi, alle maledizioni, al malocchio ecc. ecc.?
Ma veniamo all’accaduto in tempi a noi ormai lontani.
Va detto, anzitutto che nei tempi passati si credeva ai tesori sotterrati da briganti.
Salvatore Zaffino alias Abate e Raffaele Pisani, di Serra S. Bruno, insieme a Rosario Montagnesi di Fabrizia e Antonio Rullo di Gerocarne erano desiderosi di mettere le mani su un ricco tesoro che si diceva si trovasse in località Timpone del lupo nelle montagne di Serra S. Bruno.
Per mettere le mani sul tesoro bisognava individuare il posto esatto. La localizzazione precisa si poteva conoscere con l’aiuto di un mago. Ve ne era uno nel paese suddetto, abbastanza rinomato: Michele Carnevale, un vecchio che si diceva possedesse il libro magico.
Va precisato che con il libro magico si poteva evocare il diavolo, perciò la giustizia, per precauzione, bruciava tutti i libri magici che cadevano fra le sue mani; Indicava il modo e il luogo per trovare un tesoro. Sembra che vi fossero tre libri magici, che godevano di una certa notorietà. Il primo di essi apparve a Roma il 1670, il Grimorium verum tradotto dall’ebraico; il gran libro magico e la clavicola di Salomone. Quest’ultima, sembra somigliasse al Grimorium, dato che vi erano contenuti scongiuri e formule magiche.
Torniamo alla storia. Michele, messo a parte del disegno, prese il suo libro e, il 13 maggio 1886, si portò sul posto insieme ai suddetti, ai quali si unirono Giovanni e Luigi Vallelunga.
Fatti i vari rituali il vecchio indicò il posto. I Sei scavarono, scavarono, ma del tesoro non c’era traccia. Incominciarono a sorgere dubbi. Pensarono che il mago li avesse ingannati, per poi tornare sul posto nel luogo preciso e far proprio il bottino. Che fare allora?
I quattro fecero al vecchio rimproveri e minacce: “Tu sai dov’è sepolto il tesoro. Non ce lo dicesti? E che libraccio hai portato? Se hai lasciato a casa il vero libro magico c’è un solo rimedio: andiamo a prenderlo. Ma, se hai pensato d’ingannarci ti scanniamo come un agnello”.
Le minacce furono fatte brandendo gli arnesi di lavoro.
Giovanni Vallelonga cercò di placare gli animi. Fece capire che se l’avessero ammazzato “allora sì che sarebbe stato impossibile trovare il tesoro”. Alla fine pensò bene di andar via insieme al figlio Luigi, per evitare di essere invischiato in qualche tragedia. Per i quattro rimasti la cosa non poteva concludersi così. L’inganno era stato troppo grave.
Sta di fatto che i quattro rientrarono soli in paese. Ai parenti del vecchio, che gliene chiedevano, risposero: “Ci lasciò a breve distanza dal Timpone del lupo, dicendo che voleva andare a vedere i bei lavori fatti a Ferdinandea”. Intanto Michele non ritornava. I parenti s’impensierirono. Si pensò che i quattro lo avessero ucciso. Carabinieri, guardie forestali, parenti lo cercarono invano per i luoghi vicino Timpone del lupo. Chiesero in giro, ma nessuno l’aveva visto.
Finalmente, il 3 luglio fu rinvenuto il cadavere in un burrone quasi inaccessibile. Aveva il cranio fracassato e si era fatto strazio del corpo. Fra l’altro si notò la mutilazione di un piede e “delle parti genitali”. Apparve chiaro che i cercatori del tesoro fossero stati gli autori. I quattro furono processati dalla corte d’assise di Monteleone (Vibo Valentia). Si protestarono innocenti, ma non furono creduti e furono condannati.
Un cronista dell’epoca scrive: “Singolarissimo fu il morale fenomeno che rivelò questo processo. In questo scorcio del secolo XIX vi è tuttora in Calabria chi fermamente e con piena fede mostra di credere ai sortilegi ed alle stregonerie. Che più? Lo stesso verdetto dei giurati dimostrò la esistenza del medioevale pregiudizio. Essi ritennero che, per la cieca fede nelle arti magiche, lo Zaffino ed i suoi compagni agissero in uno stato di morbosa alterazione mentale diminuente la loro imputabilità, onde furono condannati soltanto a dieci anni di carcere”.
Il fatto è che oltre un secolo dopo c’è chi crede, ancora, nelle arti magiche e nei poteri di maghi, santoni ecc.
Giuseppe Abbruzzo