A proposito di Silvia…
La pandemia non insegna, divide. Moltiplica i bisogni e fa leva sugli istinti. Dovrebbe renderci più umani, invece ci trasforma in belve feroci. Siamo i nuovi barbari da tastiera, da divano e da caffè corretto. Non mi tiro fuori dal mucchio. Come potrei? La mia visuale è ristretta e non sono sul promontorio delle Tavole della legge. Non ho l’autorità per indicare e bannare idoli. Guardo semplicemente al mio residuo grado di umanità, a ciò che riesco a preservare dalla corrosione del tempo e degli eventi. Per questo, non riesco a tacere.
Dietro all’abbraccio e al ritorno di una figlia a casa, oggi molti lupi si sono scagliati. È una donna, è sorridente, si è convertita…quindi ha tradito la patria, la religione, lo Stato, il popolo, i contribuenti…. Quindi, le è piaciuta una prigionia durata diciotto mesi! Un vomitorio! Quello che più mi turba sono i commenti di altre donne, di altre mamme, di altre figlie…
Come avreste voluto vedere Silvia? Sputare lacrime e sangue? Forse così la sete degli sciacalli si sarebbe saziata! Come avreste voluta vederla con la felpa della Polizia di Stato e il Rosario in mano? Così il sovranismo, il populismo e il becero moralismo sarebbero stati incensati. Allora, solo allora, sarebbe stata una brava ragazza italiana di venticinque anni che torna finalmente a casa.
La colpa di Silvia è quella di essere una volontaria che è andata ad occuparsi di bambini malnutriti in Africa nel 2020?
Forse che sì o forse che no, la sua liberazione è avvenuta dietro il pagamento di un riscatto. Avviene sempre in questi casi. Perché ipocritamente in questo caso ci si indigna? Forse perché non sembra essere tornata nei panni di vittima, ma con le “vestigia” culturalmente lontane dei carnefici?
Se ad essere rapiti fossero stati i nostri figli sicuramente avremmo chiesto allo Stato di non badare a spese, ma di attingere senza esitare alle risorse che come cittadini accantoniamo con le tasse per il bene comune.
Purtroppo, la verità è che Silvia non è ancora uscita dalla “giungla”.
Silvia è stata veramente libera solo per poche ore, è passata dalle mani dei suoi sequestratori alla prigione di menti ottuse, rancorose, insoddisfatte e vili che giudicano dal divano di casa, magari mentre sorseggiano un aperitivo. Il suo copricapo integrale ha accecato i tori, il suo sorriso li ha sfidati.
Mi rendo conto, come sostiene mio marito, che in una giungla e fra cannibali certi discorsi non servono. Da donna, da madre e da figlia non posso tacere, altrimenti non c’è scandalo se il mio stupratore se la cava impunito in tribunale visto che indosso un paio di jeans!
La colpa più grave di Silvia? Essersi convertita volontariamente all’Islam. Sono sicura che dopo diciotto mesi di prigionia alcuni di noi avrebbero imparato a camminare sui carboni ardenti se fosse stato necessario! Se votarsi a un Dio che salva (comunque, si chiami) l’ha resa forte e le è servito a sopravvivere vuol dire che si è “affidata”, ha maturato una fede sia pur dettata dalla paura. Certo, forse avreste preferito una martire cristiana! Se non fossimo impegnati a giudicare dalle apparenze senza voler comprendere, potremmo quasi gridare al miracolo della salvezza attraverso la fede. Per arrivare a tanto però dovremmo esseri veri cristiani, in realtà siamo solo dei benpensanti che vanno in Chiesa.
Probabilmente, Silvia mai dimenticherà “quegli istanti che assassinarono il (suo) Dio e la (sua) anima, e i (suoi) sogni, che presero il volto del deserto”*, certamente non sta a noi attendere sulla soglia una sua risposta.
Cosa ci turba di questa vicenda che arriva come una fresca pioggia dopo due mesi di siccità? Forse l’apparente sicurezza di Silvia, il suo sorriso, la sua compostezza, la normalità del suo abbraccio di figlia e sorella? Quali fantasmi agita in noi la sua fierezza nel dire: “sono stata forte!” Forse ci ricorda che per due mesi ci siamo lamentati di non trovare il lievito al supermercato!
Bentornata عائشة ʿĀʾisha (Vivente), figlia mia!
- “La notte” di Elie Wiesel
Adelinda Zanfini