Mamma Rosa


In questo giorno speciale di festa voglio ricordare la mia adorata mamma con uno scritto che le ho dedicato, tratto dal mio libro di racconti intitolato “Il giardino di Dida (Le sette fantasie)” e pubblicato da Aletti Editore nel 2011.

A lei, che tanto mi ha amato, va il mio più affettuoso e grato pensiero, e a tutte le mamme gli auguri più sinceri! 


“MAMMA ROSA”

Le rose, le vere rose non appassiscono mai, perché il loro profumo rimane oltre la fine, oltre le spine; così è stato per mia mamma, che si chiamava Rosa ed era più bella di una regina. Aveva un neo sulla fronte (ed è per questo che la chiamavo “Stella”); imponente nel portamento e amorevole nel suo modo di fare; non aveva segreti nel suo cuore, solo dolcezza era la sua vita. Nobile di animo e di cuore. Nessuno poteva passare da casa sua senza che lei gli facesse la carità: non di cose che servono a ben poco, ma di grande valore; lei metteva tutta sé stessa al servizio degli altri. Era sofferente, con tanti dolori, e mai emetteva un gemito; e se io le consigliavo di stare un po’ a riposo, la sua risposta era: “Quando si muore si ha tanto tempo per stare in pace”.

Intanto lei aveva già pensato a tutta la festa. Infatti, la comare era lì vicino e il compare, mio zio; anche se a tenermi a battesimo voleva essere una suora (anch’ella oggi nella gloria di Dio), che purtroppo dovette partire per Forlì.

 Io scrivo di mia madre, perché è stata una mamma eccezionale e, come tutte le mamme, ha lasciato il proprio segno. Lei era anche mamma-bontà, mamma-carità per tutti, mamma di chiunque avesse bisogno d’aiuto, anche perché era una donna che, all’occorrenza, sapeva improvvisarsi dottoressa, infermiera, pasticciera, filatrice, ricamatrice e consigliera di tutti: in quanto sapevano che dalla sua bocca non sarebbe uscito mai niente. Era cattolica praticante iscritta al Sacro Cuore di Gesù ed al Terzo Ordine Francescano. Il suo primo pensiero era quello di andare a messa la mattina e mai perdeva il suo tempo in commenti con le comari, ma era subito a casa per poi andare alla rosticceria a cucinare.

Da noi la tavola era sempre apparecchiata, perché chiunque vi capitasse doveva assaggiare qualcosa; e se qualcuno tirava fuori la scusa che gli facesse male, lei, pronta, rispondeva che dalla Rosina “niente fa male, ma tutto fa bene”; e così era. Infatti, nessuno usciva fuori senza aver preso qualcosa.

Quando veniva Natale, lei allestiva due alberelli: uno con tutti gli addobbi natalizi e l’altro con tutte le ghiottonerie, quali caramelle, cioccolatini, mandarini, ecc. ed io, con inganno innocente, mi nascondevo sotto la tavola, di modo che, quando lei si girava, io sbucavo di soppiatto e facevo fuori le caramelle; lei si chiedeva dove andassero a finire, mentre io, che di nascosto ero scappata già fuori, rientrando le davo a credere che stessi arrivando allora. Anche se molto dolce, mia madre all’occorrenza sapeva essere anche decisa e dalla sua fermezza nessuno poteva farla recedere.

Una volta, durante le scuole elementari, fui bocciata. In quei giorni il prete della mia parrocchia aveva organizzato una gita ad Assisi con tutti i ragazzi del catechismo, lei, per punirmi, al posto mio mandò mia sorella; io ci rimasi molto male, ma mi ripromisi che un giorno ci sarei comunque andata. Di tempo ne passò da quando ero fanciulla fino alla partecipazione ai concorsi di poesia, in uno dei quali venivo a vincere un premio a Spello, proprio presso l’Associazione “Amici dell’Umbria”. Grande fu la mia sorpresa e con grande commozione dissi a mia madre: “Tu per punizione non mi mandasti a quella gita, ed io oggi sono invitata in Umbria a ritirare un Premio Letterario”. Aveva il presentimento che avrei raggiunto nobili traguardi.

 Oggi rimangono i ricordi, ma lei è sempre vicino e canta lassù le lodi al Suo Signore. “Sii beata, mamma mia!”

Anna Maria Elisabetta Algieri

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