Il 25 aprile 1945 assaporai la libertà
Da ragazzo ero iperattivo e, fra l’altro, memorizzavo tutto e questo mi creò un problema.
A causa della guerra mio padre, pensionato, che aveva servito nel Corpo forestale, fu richiamato in servizio e ci trasferimmo da Acri a Verbicaro.
Mia madre, figlia di antifascista, era importunata dalla segretaria del Fascio, che voleva tesserarla. Un giorno, dopo l’ennesima sfuriata, con minacce di rappresaglie nei confronti di mio padre, mia madre tritava carne e, urtata, cantava una canzoncina, scandendo il ritmo con i colpi della mannaia. La memorizzai. Un giorno, per far bella figura la cantai. La mamma impallidì. Mi disse di non cantarla, ché, se l’avessi fatto, avrebbero arrestato lei e papà e noi saremmo finiti in un orfanotrofio. Mi presentò la cosa in modo orribile. La notte ebbi incubi, nei quali tutto si avverava. La cosa mi perseguitò. Il sogno ritornava. Non avevo il coraggio di parlarne né con mio padre e tanto meno a mia madre, che, dopo insistenze e minacce, fu costretta a tesserarsi. Il giorno dopo cadde il fascismo, aprì il balcone e prese a gridare: – Esci fuori, maledetta disgraziata… -. Si rivolgeva alla segretaria del Fascio, che abitava una casa poco discosta e si guardò bene dall’affacciarsi. Alle grida seguì la conclusione: – Finalmente avete finito!… Ecco cosa ne faccio della tessera! -, e fece a pezzi tessera-.
Dopo l’8 settembre mio padre chiese di essere ricollocato in pensione. Partimmo da Verbicaro. Il viaggio, in piena guerra, fu un’odissea, che mi è rimasta impressa nella mente, insieme a tanti terribili fatti. Ritrovai i nonni materni e le zie. Non ne ricordavo più i volti e nulla, ma proprio nulla.
La mia vita cambiò, soprattutto, a opera del nonno, al quale ero particolarmente legato.
D’estate i nonni e due mie zie andavano a estivare al Cocozzello. Allora la strada attuale e i servizi non c’erano. Li raggiunsi. La vita riprendeva lentamente. Al nonno, i contadini portavano dal paese L’Unità, il giornale del suo partito. Era un solo foglio. Vi si pubblicavano, fra l’altro, le satire di Trilussa. – Anagramma – precisava il nonno – del cognome di Carlo Alberto Salustri… -.
Mi fece trascrivere questi versi e mandarli a memoria:
ER GRILLO ZOPPO
Ormai me reggo su ‘na cianca sola.
– diceva un Grillo – Quella che me manca
m’arimase attaccata a la cappiola.
Quanno m’accorsi d’esse priggioniero
col laccio ar piede, in mano a un regazzino,
nun c’ebbi che un pensiero:
de rivolà in giardino.
Er dolore fu granne… ma la stilla
de sangue che sortì da la ferita
brillò ner sole come una favilla.
E forse un giorno Iddio benedirà
ogni goccia de sangue ch’è servita
pe’ scrive la parola LIBERTÀ.
A sera non recitavo preghiere, come i comuni mortali, ma poesie. Dovevo più volte ripetere questa del grillo che, pur di riacquistare la Libertà si era privato della zampa. Capivo tutto tranne come la goccia di sangue avesse scritto: Libertà! Il nonno, mi spiegava la metafora e il significato dei versi: – … Ricordati la Libertà è preziosa… Il grillo si priva perfino di una zampa pur di riacquistarla…
Cosa c’entra il 25 Aprile con tutto questo e con la LIBERAZIONE?- C’entra. Quella sera ero in casa dei nonni. Allora non si udivano rumori, solo latrati di cani. Nel silenzio si sentì un coro, accompagnato dal suono d’una chitarra. Sbiancai! Sudavo freddo. Il nonno mi disse d’andare a vedere. Andai. Le gambe mi tremavano. Il canto era quello proibito: Bandiera rossa.
Bussarono. Il nonno aprì. La scena, alla quale ho assistito, mi è rimasta fissa nella mente. Cantavano i suoi compagni antifascisti. Piangevano, compreso il nonno, si abbracciavano, gridavano: – È finita!… È finita!... -. Piansi anch’io. Piango ancora al ricordo. Era finita la guerra. Avevo conquistato la LIBERTÀ senza perdere la gamba come il grillo. Finalmente avrei potuto cantare Bandiera rossa, senza temere quanto minacciava mia madre.
W LA LIBERTÀ!
Giuseppe Abbruzzo