Se ne vanno i nostri padri e i nonni dei nostri figli

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Un passo preliminare a qualunque altro, dopo l’attuale emergenza, non potrà che essere un doveroso tributo alle generazioni che hanno pagato il prezzo più alto in questa guerra. Non è una posizione originale la nostra, in quanto ultimamente più d’uno se ne è fatto portavoce sui media, anche a livello molto più autorevole del nostro. Tuttavia, sentiamo di unire anche la nostra modesta voce alle tante che si sono alzate. Stiamo parlando di quelle persone nate tra la fine degli anni ‘30 e i primi anni ‘40 del secolo scorso, cioè di coloro che  si sono affacciate al mondo nell’immediatezza o durante la Seconda Guerra mondiale, in condizioni difficili, e che hanno avuto l’onere di ricostruire questo Paese. Se ne sono andate, per un curioso paradosso della storia, nel silenzio generale, avvolte in un sacco e bruciate mestamente, in solitudine. Come da più parti è stato sottolineato, anche in questi giorni sulla stampa (penso, ad esempio, a Antonio Scurati sul Corriere della sera), non ci potrà essere nessuna ripartenza senza avere prima celebrato degnamente questi morti.  Ci piace celebrali immaginandoli sulle impalcature improvvisate e pericolanti, con vestiti logori senza protezione alcuna. Ci piace pensarli ancora sulle prime utilitarie sfreccianti sulle strade ricostruite. Ci affascina immaginarli negli affollati cortei di protesta degli anni ’60 e ’70, col fischietto a rivendicare diritti per loro stessi e soprattutto per i loro figli. Li ricordiamo attivi nelle manifestazioni del 25 aprile, pronti a ricordarci l’importanza e il valore di quella festa e ciò che per loro significasse. Ricordiamo anche la loro recente delusione nel vedere quanto le giovani generazioni poco tenessero a quel ricordo. Ricordiamo la noia con cui i figli ascoltavano le loro storie di vite affatto facili. Già, i figli! Quelli della mia generazione, che hanno beneficiato delle loro battaglie, che ci hanno garantito benessere e diritti, a cominciare da quello allo studio, che a loro non era stato dato. Si tratta di una generazione generosa e altruista, fortemente ideologizzata e convinta che nella vita bisognasse lottare per conquistare quotidianamente uno spazio dignitoso. Le generazioni decimate dal coronavirus sono quelle che si sono sobbarcate il peso maggiore e che ci hanno reso quelli che oggi siamo, creando quelle condizioni  e quelle opportunità che a loro erano mancate. Non è giusto che se ne siano andati così! Non ci potrà essere pace e rassegnazione per i figli fino a quando non avremo eretto degnamente le loro tombe e le avremo contornate di fiori e d’affetto. “Sol chi  non lascia eredità d’affetti poca gioia ha dell’urna” (Foscolo).  Le loro urne dovranno essere custodite con orgoglio e ostentazione. Questi riti serviranno a noi per potere ripensare degnamente al futuro.

Massimo Conocchia

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