La bellezza come virtù civile
Siamo nati come antica civiltà fondando città bellissime, Sibari ne è l’esempio fulgido, siamo nati per vivere nella meraviglia della natura e dei luoghi unici della Calabria, come in tutto il sud, siamo nati per vivere circondati di bellezza, ma siamo stati capaci di dimenticarla, rimuoverla e negarla ai nostri tempi, in una caotica, brutta, disordinata contemporaneità.
Riscoprire la bellezza come virtù civile vuol dire rieducarci alla cultura e al gusto del bello, proprio in condizioni come questa che stiamo vivendo, perché la casa deve essere un luogo bello, soprattutto quando siamo costretti a passarci tante giornate, perché il paese, il quartiere devono tornare a rappresentare ed accogliere bellezza. Partendo dalle piccole cose, dall’evitare di gettare le carte, le cicche, le famigerate gomme masticate per terra -cosa che non faremo mai a casa-, dall’evitare la trascuratezza dei luoghi e il disinteresse collettivo per questi, dal prendersi cura dei nostri paesaggi, dal costruire città che non siano espressione solo di quantità, ma soprattutto di qualità, parola che viene spesso umiliata per mere necessità e urgenze, solo funzionali e mai estetiche.
Un esempio -su tutti- che ho avuto modo di osservare in questi giorni, anche a distanza geografica da Acri, attraverso alcune immagini sui social, che mi ha fatto molto riflettere nei tempi incerti che viviamo, sia sulla bellezza che sulla sua attualità, è come si procederà alla sostituzione dell’edificio scolastico di Padia, dopo la sua demolizione, con uno nuovo. Una operazione molto delicata, dentro un tessuto storico e in un profilo paesaggistico che rappresentano ancora, malgrado i guasti operati, i crolli, le negligenze, un elemento di identità nel profilo della città. Nulla si sa del progetto che verrà realizzato al posto dell’edificio che esisteva e che nel tempo aveva ormai ritagliato una sua coerenza urbanistica e paesaggistica, eppure si tratta di un luogo particolare, che meriterebbe una sensibilità davvero adeguata ad aggiungere bellezza piuttosto che toglierla, come temo accadrà con la sostituzione.
Ciò che stupisce è il totale disinteresse della collettività acrese -ma ciò accade, come sempre, in diversi altri luoghi- rispetto a questo come altri interventi urbanistici importanti, che negli anni hanno sottratto bellezza al nostro contesto, così come sorprende che amministrazioni che si dichiarano democratiche non abbiano la sensibilità di rendere partecipi i cittadini di scelte così importanti. Questa serie di meccanismi inceppati, questa incapacità della politica di oggi di confrontarsi con la bellezza e saperla offrire e diffondere nelle comunità, è un dato preoccupante, un tratto civile che un protagonista delle ribellioni alla mafia, alla malavita, al malcostume imperante, già negli anni Settanta, come Peppino Impastato -ucciso il 9 maggio del 1978- aveva ben descritto. “Se si insegnasse la Bellezza alla gente, la si fornirebbe di un’arma contro la rassegnazione, la paura e l’omertà. All’esistenza di orrendi palazzi sorti all’improvviso, con tutto il loro squallore, da operazioni speculative, ci si abitua con pronta facilità: si mettono le tendine alle finestre, le piante sul davanzale, e presto ci si dimentica di come erano quei luoghi prima, ed ogni cosa, per il solo fatto che è così, pare dover essere così da sempre e per sempre. È per questo che bisognerebbe educare la gente alla Bellezza: perché in uomini e donne non si insinui più l’abitudine e la rassegnazione ma rimangano sempre vivi la curiosità e lo stupore”. Bellezza, Impastato lo scriveva con la maiuscola, non a caso, e nel suo significato militante, il bello aveva un preciso senso: non estetica aristocratica, ma riconoscimento di ciò che è buono, della qualità, prima che della quantità.
Ma Impastato non è stato il solo a proporci questa visione delle cose, Papa Francesco ne ha parlato nella sua bellissima enciclica “Laudato sii” -e non so quanto, proprio i cattolici ne abbiano seguito l’insegnamento-, e ancora prima del Papa, quella figura straordinaria del cardinal Martini, scriveva “Quale Bellezza salverà il mondo? Il mondo moderno, essendosela presa contro il grande albero dell’essere, ha spezzato il ramo del vero e il ramo della bontà. Solo rimane il ramo della Bellezza, ed è questo ramo che ora dovrà assumere tutta la forza della linfa e del tronco», riferendosi ad un brano dello scrittore russo Solgenitsin sulla unità di queste virtù.
La bellezza, dunque, può ancora salvare il mondo? Citando una frase abusata, ma che in momenti difficili come questo appare come una vera ancora di salvataggio, forse si, però occorre fare in modo che -soprattutto per le nuove generazioni che vivono oggi la pandemia come un monito- sia ancora realizzabile il sogno di educare la gente alla bellezza, per mantenere vivi curiosità e stupore, e questo può avvenire solo coltivandola la bellezza, dalle scuole alla società, con le Arti, la Natura, la Cultura, soprattutto, armi civili potenti che agiscano contro tutte le inciviltà, l’arroganza, la negligenza, la rinuncia e rassegnazione, atteggiamenti cronici che al sud hanno finito -oggi- per aumentare il divario enorme tra cittadini e politica.
Pino Scaglione