La sanità di un tempo e quella d’oggi. Viaggio nelle incoerenze joniche della Calabria tutta.

Forse i più giovani non lo ricorderanno, ma ancor prima delle Asl, in Calabria, vi erano le Ussl. La similarità nell’assonanza non deve condurci a confondere le cose, le prime erano infatti già affidate al diretto controllo delle Regioni, le altre dipendevano direttamente dallo Stato centrale. Ogni ospedale aveva la sua autonomia e lungimiranti menti quali Giacomo Mancini, seppur legate ad un centralismo capillare, avevano tempestato un territorio come quello calabrese di Stabilimenti Ospedalieri. Ogni area aveva il suo ospedale di riferimento. Taluni nascevano nelle comunità per la prima volta, altre strutture, imponenti e maestose per l’epoca, sostituivano obsolete costruzioni non più adeguate ai tempi. Stiamo parlando degli anni ’70 e dei primi anni’ ’80, quelli che un altro Statista Socialista, Bettino Craxi, aveva definito “delle vacche grasse”. Erano anni in cui si scollinavano montagne nel Pollino per permettere a Cosenza d’avere la sua autostrada fin nei pianerottoli dei suoi palazzi. Era tempo d’allocazione uffici a mo’di funghi prataioli nella città di Catanzaro, nel mentre edifici arroccati sulle colline d’Arcavacata iniziavano ad allestire mosaici che da lì a poco sarebbero diventati campus universitari sul modello americano. Tutto sommato però, le periferie si difendevano, allontanadosi da ruoli marginali e divenendo punto di riferimento sanitario e dei servizi per l’interland dei comuni che su di esse gravitavano. Certo affianco a grandi ospedali come il “San Giovanni di Dio”, il “Nicola Giannettasio”, il “Giovanni Paolo II”, talune costruzioni, seppur finite nella struttura, non furono mai messe in funzione. Fu questo il caso dei Presidi del Marchesato e di Cassano All’Ionio. Altri invece non furono neppure completati (Scalea, Rosarno, Nicotera ecc.
), altri ancora come Cariati, Trebisacce, Acri e San Giovanni in Fiore, riuscirono ad alleviare la domanda sanitaria di aree impervie come quelle silane e di confino come quelle joniche. 
Poi arrivò la politica manageriale, laddove la figura medica, pian pianino, lasciava sempre di più la corsia per iniziare ad adagiarsi dietro alle scrivanie. Comunque sia, ai tempi delle Asp, ancora l’offerta sanitaria calabrese era accettabile; talune di queste addirittura avevano i propri bilanci in attivo ( ex Asl 3 Rossano). 
Giunse quindi il decreto Lo Moro, che conseguentemente col governo Scoppelliti, decise di creare le Asp, connotando le aziende sanitarie sulla falsa riga delle holding, in nome e per conto della dinamica Hub e Spoke. In poche parole venivano salvati 3 grandi ospedali facendoli diventare grandissimi grazie al surplus di competenze svuotate dagli altri ospedali che da grandi divennero piccoli, mentre i piccoli ospedali divennero presidi fantasmi o similari. Taluni vennero chiusi, altri seppur svuotati dalle maestranze, furono lasciati aperti solo per gentile concessione alle società che erogano luce e gas, giusto perché qualcuno deve pur “mangiare”. 
S’arriva al tempo del Corona, e di colpo ci siamo accorti che molti dei nostri ospedali, altro non sono se non scatole vuote chiamate spoke. 
Ora non ci resta che rimboccarci le maniche, affrondando questo terribile nemico invisibile, cercando di superare la crisi alla meno peggio. Una volta passato questo momento, bisognerà ripensare questo servizio sanitario che nella noncuranza generale delle popolazioni ha finito per generare aree attrezzate e territori, che definire periferie, sarebbe un eufemismo. Le classi politiche artefici di questo disastro, hanno ballato come iene su corpi di leoni come Giacomo Mancini, bivaccando su una questione sanitaria che generava buchi miliardari nei bilanci regionali. 
Però, in tutta onestà, resta la consapevolezza che i leoni saranno sempre leoni, mentre le iene resteranno sempre e solo iene. 
Sollevati Magna Graecia! Riprendi ciò che t’appartiene; quello che scriteriate e scellerate politiche perpetrate dall’approssimazione e dall’incompetenza ti hanno tolto per dare a chi non ha saputo gestire. Si ritorni al passato inquadrandolo in una visuale di contesto futuro, moderno ed efficiente, rispettando popoli e territori. Il rivirbero della miglioria si propagherà sulla Calabria tutta. 

Domenico Mazza, cofondatore del Comitato per la Provincia della Magna Graecia. 

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