Le basi della ri_costruzione, in attesa del dopo epidemia
Questo lunedi sera, Massimo Recalcati ha iniziato la sua nuova serie di trasmissioni, il cui titolo è “Lessico Civile”, dando spazio a quella parte di riflessioni che tra realtà e sfera emotiva riportano al nostro ruolo quotidiano nelle relazioni come persone, cittadini, famiglia, figli, madri, padri.
Proprio sul ricordo di questi ultimi, i nostri padri, ho desiderato in questo momento condividere questa riflessione, perché credo sia importante farlo in circostanze in cui le tensioni verso “fuori” ci portano a dimenticare il significato profondo del rapporto che abbiamo sempre con ogni forma di paternità. Li dimentichiamo troppo facilmente, nel bene e nel male, li rimuoviamo, tendiamo “ad ucciderli”, a negarli, a sfuggire dalle loro raccomandazioni, a negare la loro esperienza, tendiamo a dimenticare i padri. Anche quando crudamente ci avevano -ci hanno- avvisato di “pericoli incombenti”!
Mio padre Luigi Scaglione, è scomparso esattamente venti anni fa, il primo aprile del 2000, dopo aver fatto parte di una “piccola pattuglia” di uomini che, in un mare di superficialità, sono riusciti a conquistare stima e ammirazione duratura, soprattutto per l’umiltà, la coerenza, l’intelligenza, l’umanità.
Luigi, Fausto, Cecchino, Giuseppe, William, Angelo, Salvatore, insieme a tanti altri, prima e dopo, sono stati protagonisti civili acresi, coraggiosi condottieri, in una stagione difficile, nella transizione dagli anni dal dopo Boom alla stabilità (apparente) di una comunità, come quella acrese, aspra, cattiva, a tratti spietata nel pettegolezzo distruttivo, se pure in molti strati anche generosa e operosa, creativa, intelligente.
E così, oggi in un contesto di nuova, grande difficoltà, mi piace, mi rassicura e rincuora, il contributo di Luigi, ma senza dubbio insieme a quello degli altri generosi padri, interpreti di una generazione che ha condiviso prima di tutto ideali collettivi, ancor prima che personali, in passaggi rischiosi e critici, drammatici tanto del sud, quanto dell’intero paese. Negli anni, lunghi, della strategia della tensione, del terrorismo e delle vittime innocenti, dei tentati golpe, della massoneria deviata e di Licio Gelli, della mafia che sfida lo stato a colpi di attentati devastanti, di stragi efferate, durante le quali la presenza di mio padre -dei nostri padri- è stata fondamentale per intravedere una rotta, un pezzo di futuro che non fosse oscuro e negato anche a noi come in parte era stato negato a loro.
Nei fatti di tutti i giorni, come un piccolo-grande guerriero, in quella impronta riconoscibile che mio padre portava nello sguardo (e nel cognome), nella limpidezza dei suoi occhi che incantavano tutti, nella fierezza indomita di un tenero, ma risoluto condottiero, nel granitico desiderio di condurre piccoli eserciti -dagli amici, ai cittadini, ai colleghi, ai figli-, come tanti altri padri- ieri e oggi-verso una emancipazione civile e sociale che avrebbe cambiato il corso del futuro delle nostre comunità.
In un sud sempre in affanno, che aveva grande bisogno di guardare oltre, ad esperienze evolute, capaci di affrancarci da dipendenze culturali, sociali, economiche, questo figlio -figli- di una generazione difficile, questa pattuglia di coraggiosi, questi padri di una “piccola patria” meridionale, vissuti a cavallo tra la guerra e la sua fine, la ricostruzione difficile ma entusiasmante, hanno scommesso sulla necessità di cambiare la loro condizione esistenziale e quella del luogo in cui sono nati e vissuti, e lo hanno fatto attraverso la cultura, la musica, la politica come impegno civile quotidiano, l’amicizia vera, la solidarietà, il senso di comunità, il desiderio di sfida e riscatto, l’etica, una nuova stagione di civiltà, senza mai nessun cedimento e compromesso.
Oltre ciò che di personale vi è in queste note, sono certo che tuttavia intercettano ed esprimono un pensiero molto largo, e in momenti difficili come quello che attraversiamo, immaginare una“ri-costruzione” civile, post Covid19, vuol dire anche dalripercorrere altri momenti difficili, superati, ma soprattutto nelriconoscere meriti -anche debiti dove vi siano-, dall’affrontare in modo diverso le relazioni, dall’azzerare i conflitti, dal ricostruire la coesione sociale dalle sue basi, avviando a soluzione forse il più antico male del sud: il dividersi, dilaniandosi, piuttosto che unirsi verso obiettivi comuni di riscatto e rinascita.
E non si tratta nemmeno di “buonismo” tardivo, né di colpo di spugna, ma solo della necessità di guardare indietro, per seguire guardando oltre, nel confronto tra una classe politica, quella fino agli anni ottanta del secolo scorso, che oggi appare gigantesca -pur non essendo stata tale, tra luci ed ombre- per aver tuttavia, genuinamente accompagnato per mano la crescita di tante comunità del sud, rispetto ai politici attuali, e degli ultimi trent’anni, che l’hanno dilapidata, resa irriconoscibile sottraendo, soprattutto ai giovani, il futuro.
Quel futuro che invece non hanno negato a noi, mio padre, i nostri padri, anzi lo hanno garantito con enormi sacrifici, con rinunce, un impegno civile, politico e personale quotidiano che veniva prima di ogni interesse, sostenuto da etica e capacità di guardare oltre, soprattutto di sognare.
Ecco, mio padre era un sognatore, e come lui una intera generazione che perlomeno parte di quei sogni hanno tradotto -anche per noi- in realtà, ma lo hanno fatto perché credevano che civiltà facesse rima con prosperità, sincerità, lealtà!
Pino Scaglione
(qui per esteso i nomi e cognomi delle persone citate nel testo: Luigi Scaglione, Fausto Occhiuti, Cecchino Pirillo, Giuseppe Arena, William Manes, Angelo Rocco, Salvatore Siciliano).