Il nuovo romanzo di Vincenzo Rizzuto

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     La narrativa di Vincenzo Rizzuto ha un impianto realistico e memorialistico, mai dimentico delle violenze mafiose e dei soprusi, intensamente partecipe delle difficoltà economico-sociali dell’Italia meridionale, che affronta la crisi del mondo contadino con l’emigrazione in Germania o nel triangolo industriale italiano, e incline sia all’affermazione dei diritti umani e del valore della solidarietà, sia all’esaltazione delle bellezze paesaggistiche.

Il titolo del romanzo-saggio, «e Caino disse: andiamo ai campi» (Marzi, Confluenze, 2020), evoca un verso della poesia dello stesso autore, che mettendo in risalto l’aspra vita dei neri nella piana di Rosarno si scaglia contro il caporalato e lo sfruttamento: «Vergogna, feroci caini, / la pancia che avete riempito / di fetido pane usurpato, / non vi scoppia col cuore nel petto?».

Il repertorio narrativo è l’assillante ricordo che due emigrati in Germania, a Stoccarda, Mario di origine calabrese, e Rocco Ceccuti, originario della Sicilia, hanno nella mente e nel cuore delle loro terre belle e ingrate, sospese tra la «maledizione della dura necessità» e «il desiderio struggente del ritorno» a casa.

In Germania i due amici, Mario e Rocco (quest’ultimo aveva approfondito lo studio della lingua tedesca e s’era laureato in germanistica con una tesi su Goethe), passeggiavano, nelle sere meno grigie lungo il fiume Neckar, e parlavano di tutto.

Mario celebrava spesso la maestosa bellezza della Sila: «Lì le foreste dei pini laricati e i laghi vanno ben al di là della “foresta nera” tanto decantata qui in Germania. La Sila è talmente affascinante che vedendola non si può non esserne rapiti». Rocco e la moglie Adelaide, figlia di un boss, conosceranno il pianoro e i laghi silani dopo la morte di Mario, assassinato da due killer mafiosi.

La trama del romanzo si muove lungo anse narrative di un mondo devastato dalla disoccupazione e dalla mafia e di una consapevole e razionale lotta al male.  Mario e Rocco, protagonisti principali, perseguono un progetto di civilizzazione, che va in direzione d’una società più giusta attraverso l’amore insopprimibile, lo studio e il lavoro onesto. 

Mario è un perito elettronico, che scavava tracce nei muri e a terra per riporvi i cavi elettrici. «un lavoro pesante, che gli spezzava la schiena a volte per dieci ore al giorno». Rocco Ceccuti, figlio di un maestro elementare, aveva studiato al Liceo classico di Palermo e voleva fare il medico, ma aveva dovuto prendere il diploma magistrale, sia perché lo studio magistrale durava un anno in meno (quattro anni rispetto a cinque degli altri istituti), sia perché il diploma dava l’abilitazione all’insegnamento e una possibilità in più di trovare occupazione.

Rocco Ceccuti, «giovane rampante», durante un corso di preparazione al concorso magistrale, aveva conosciuto la bella Adelaide e se n’era follemente innamorato. Interessante conoscere le sue scelte letterarie e filosofiche: Aristotele, Campanella, Bacchelli, Tolstoj, Rousseau ecc. 

Adelaide, dopo un’avventura con Rocco, è stata costretta a sposare in fretta e furia il marito scelto dal gelosissimo padre, Don Calogero, che muore assassinato dal clan rivale. 

Da quell’avventura sentimentale era nato un bel maschietto che, man mano che cresceva, somigliava sempre di meno al padre, poiché il suo vero genitore era Ceccuti, rimasto scapolo e sospiroso in Germania. Ma l’amore, come la verità, trionfa sempre. I due promessi sposi realizzano il loro sogno alla morte del marito di Adelaide.

Il romanzo, pregevole per la scioltezza del linguaggio, non privo di parole dialettali e popolari, riesce ad appassionare per l’accorata consentaneità tra ciò che il mondo meridionale è e ciò che dovrebbe essere e per la necessità d’un riscatto in chiave culturale ed etico-politica.

Vincenzo Rizzuto offre storie umane, dolorosamente vere, con una chiara linearità espressiva e con l’occhio critico di un attento osservatore e di un’esperienza scolastica accumulata senza il gusto per la divagazione né per la ricerca dell’effetto. 

La sua visione umana e sociale è fiancheggiata dalla forza redentrice del riscatto e da esigenze diverse da quelle che la politica pone, poiché le sue esigenze sono cariche di sdegno, di denuncia, di necessità di uscire dalla sofferenza, dalle angustie e dalla miseria.

Rilevante è, perciò, la sua ferma e decisa coerenza ideologica e morale, che presta viva attenzione ai valori formativi e alla giustizia, che alla fine vince sul male. 

La vicenda narrativa è controllata dall’intelligenza di un uomocolto, capace di demarcare la liberazione dall’antro dell’animalità mafiosa attraverso il fiducioso messaggio di speranza e di trasformazione sociale, legata a un più generale processo storico. 

Un romanzo impegnato, che non lascia indifferente il lettore.

Vincenzo Napolillo

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