Maggio l’amore e Don Vincenzo
L’inverno è passato! Si fa per dire, perché gli inverni sono divenuti volubili come certi uomini e – come si sottolinea da parte di tanti – non sono più quelli di una volta.
I tempi ci riserbano anche questo.
Arrivava la primavera e Biagio Autieri cantava: È primavera! Su’ jurut’ ‘i prati…, facendoci rivivere l’esplosione della natura sotto i vari aspetti. E sì, la natura, un tempo, si ridestava e l’amore sbocciava. Il giovane, come gli uccelli in amore, riprendeva a cantare le pene alla donna amata. I sospiri giungevano fino al cielo che, al suo canto, dicevano le vicine si spartìa:
È primavera e jurut’ è la rosa
chjn’ ‘e bellizzi e de russi culuri;
bella, ‘ssu russu intr’ ‘i tua labbra posa,
‘mmienzu pampini virdi e spini duri.
La primavera dintr’ ‘e tia si posa:
cògliari, bella mia, fammi ‘ssu juru!
Tu dici, ca ‘ssa cosa nun è cosa?
Ed iu mi strùggiu tra peni e doluri!
A quegli spasimi s’impietosivano gli astri. La luna, col faccione rotondo e incantato lo guardava pietosa. Sì, perché la luna, dicevano i poeti, era la fedele compagna degli amanti.
E, forse, anche lei, la donna che non voleva accondiscendere alla richiesta del giovane, alla fine cedeva. Il nostro, allora, avrebbe voluto che il cielo sereno si coprisse di qualche nuvola; avrebbe voluto qualche scroscio di pioggia, perché il vicino spione si ritirasse in casa:
Ohi Gesurcistu mia, manna ‘na nuva
ed acqua minutìlla e vientu forti,
cussì ‘u vicinu si ni trasi dintra
ed iu ci trasu ccu’ la bona sciòrta.
Pia illusione! Ma la primavera porta i fiori, che sbocciano dovunque, e maggio se ne attribuisce il merito, anche se il nostro saggio antenato fa rilevare che: Aprili fa lu juri / e maju n’ha l’onuri.
È l’eterna storia della mosca cocchiera, che un tempo si studiava fra le favole latine.
A proposito di maggio, il mese dell’amore, sentite cosa avvenne nel 1864.
Cediamo al nostro don Vincenzo Padula che, da par suo, ci presenta maggio e l’amore:
“Finalmente maggio è il mese dell’amore; il rosignuolo canta i più teneri versi alla rosa, il vecchio diventa giovine, il giovine pazzo, il cuore raddoppia i palpiti e gli occhi non veggiono altro che fiamme. Un prete di Mangone di 51 anno ne sente gli effetti, e procura di pigliarsi ai servigi una tal Santelli di 24 anni, che trovasi serva in casa di D. Francesco Tucci. Ai preti S. Pietro ha lasciato le ancille; e l’ancilla Santelli avea oltracciò il nome di Maddalena. Il prete dice alla Maddalena: – Tu verrai con me -, e Maddalena gli risponde: – Dammi un paio di fioccaglie[1]. E il prete dié fioccaglie, dié anella, dié tutto e ciò fu la sua rovina. Maddalena va alla fontana con le fioccaglie, un Lustracarpe la vede ben fornita, e le dice: – Ti sposerò. Ogni donna si precipita dal settimo piano alla parola matrimonio, e l’ingrata, l’infedele, l’assassina Maddalena scorda il suo prete. Or che fa costui? Il prete Casalino maneggia non il moschetto, ma la scure; se ne affila una, se la mette sotto il braccio, viene in Cosenza, s’introduce in casa Tucci, e dice alla Maddalena: Mettiti in punto, e via con me.
La donna spaventata ne manda una parola al Lustrascarpe, e le Guardie di Pubblica Sicurezza chiamate da costui arrestano il prete.
Oh cattivo prete! diranno qui i lettori. Ma, o miei buoni amici, siate giusti: la colpa è del mese di maggio”.
Ha proprio ragione don Vincenzo: maggio è il mese dell’amore? Maggio sveglia i cuori? E allora? Il prete, anche lui uomo, come dicono tanti scusandone gli innamoramenti, anche lui ha sentito quel risveglio: quel richiamo naturale. – Aveva 51 anni, come ha precisato Padula -, dirà qualcuno.
Allora bisogna dire che non si legge attentamente, perché il cronista ha precisato che il “prete di Mangone di 51 anno ne sente gli effetti” di maggio: il mese dell’amore; quindi è incolpevole.
Va bene tutto, ma la scure, quella
proprio no! Allora, a evitare un femminicidio, interviene la forza pubblica e
fa cantare l’innamorato come l’uccello, ma in gabbia che, come è noto: non canta
per amor, / canta per rabbia!
[1] Collane e orecchini.
Giuseppe Abbruzzo