Chiudere la stalla dopo che i buoi sono scappati!

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Che detto in acrese potrebbe essere: feari i porte e fierru dopo c’aeno arrobbaetu a Santa Chiara! Ovvero prendere provvedimenti quando ormai il danno è stato fatto; preoccuparsi di qualcosa quando ormai non c’è più niente da fare. Ecco cosa sta succedendo per la vicenda Covid19, a scala nazionale, così come alla piccola scala per l’Ospedale di Acri, e in generale per la sanità pubblica in Italia e, più drammaticamente al Sud, le cui carenze strutturali sono troppo note. 

Si è proceduto, nel corso di questi anni, a chiudere tanti presidi ospedalieri, centri nascita, aree sanitarie specialistiche, concentrando in grandi, affollati e ingestibili poli tutta l’assistenza, smontando un sistema puntuale-locale che nelle sue logiche sociali aveva raggiunto un importante equilibrio. Aumentando il divario Nord-Sud che inevitabilmente ha visto vittorioso (si fa per dire!) le realtà da Roma in su e perdenti quelle da Napoli in giù.

Ma passa il tempo, e avverti il vuoto di questa mancanza quotidiana, cosicché durante una gravissima emergenza come quella attuale, si palesa con tragica evidenza che ciò che è statosmantellato, che costava il giusto per supportare economie locali e di piccoli, densi e dinamici comprensori, così siamo in obbligo di correre frettolosamente ai ripari con provvedimenti inevitabilmente rabberciati, provando a rimettere in piedi, sia pure per rispondere al momento difficile, questo stesso sistema!

Dallo smembramento in poi dei piccoli e medi ospedali, i costi delle sanità regionali pubbliche al Sud, si sono quadruplicati, così da consentire l’annidarsi di mafie e interessi privati, il proliferare di caste politiche, e il conseguente aumento dei tanti casi di malasanità e fuga verso il nord per le cure, con danni sociali e finanziari imponenti.

Oggi l’emergenza Covid19 ha messo a nudo due aspetti: la passione, dedizione, il sacrificio di medici e infermieri, da un lato, che purtroppo non è sufficiente come argine solido, e dall’altra il crollo e inadeguatezza dei luoghi di cura, insufficienti per numero di strutture, vecchi, malsani, senza adeguate attrezzature, a volte in dismissione parziale o totale. 

Mai un guizzo di ingegno balena nella mente del legislatore regionale -nonché nazionale- al momento di decidere che dismettere una struttura significa aver buttato al vento milioni pubblici, disperso professionalità, smantellata una costituzionale attività civile del dare aiuto e sostegno medico a chiunque, in qualsiasi latitudine, per qualsiasi necessità, e che rimetterla in piedi, in qualsiasi altro momento, costerà immensamente di più!

Poi arrivano i disastri, le pandemie, allora si prosegue, sulla scorta delle peggiori, drammatiche emergenze, a perpetrare errori: si riaprono strutture a scapito di altre, come accade nel caso dell’ospedale di Acri, e non c’è lucidità nel programma di organizzazione e distribuzione dei potenziali casi di contagio, così si privilegiano, anche in queste occasioni in cui non si dovrebbe, interessi elettorali, di aderenza partitica, cabotaggi personali.

Ho pensato, e seguo immaginando, che forse in Italia, e al Sud soprattutto, avremmo dovuto toccare il fondo perché il nostro spirito di rinascita facesse emergere una stagione nuova di orgoglioso riscatto, ed ecco che al fondo ci siamo vicini, ma vedo ancora gesti scomposti, insubordinazione, stupida ribellione alle regole, fughe da nord a sud che servono solo ad alimentare il contagio e aumentare a dismisura il disagio sociale e il divario. Seguo scorgendo amministratori incapaci, impreparati, che balbettano, attuano tentativi incoerenti per sopperire alle carenze di strategia che avrebbero dovuto mettere in atto decenni fa, che tentano oggi inadatti rimedi in un momento in cui tutto è più difficile e complicato e in cui non servono nemmeno rigurgiti campanilistici, perché a nulla servono.

Allora davvero non ha senso chiudere la porta se i buoi sono scappati, ma serve già da ora attuare una intelligente politica di programmazione, che solo in queste fasi, pur con la loro drammaticità, e dopo il prevedibile e realistico fondo toccato, deve illuminare ogni azione programmatoria nazionale e locale, e fare in modo che nelle emergenze non si debba tornare indietro, a volte inutilmente o dannosamente.

Ce la faremo anche questa volta -perché ce la faremo senza dubbio a ripartire- ma con umiltà dobbiamo imparare ad essere più previdenti, più saggi, più attenti, i cittadini prima di tutti; in particolare, e non mi stanco di ripeterlo -in quel sud che può riorganizzare la propria rinascita in momenti difficili-, dobbiamoritrovare equilibri smarriti, sensibilità perdute per evitare di essere vittime dei nostri stessi errori, augurandoci che la natura, stanca di essere abusata, non abbia deciso di “disfarsi” di questo “stupido essere”, l’uomo, che pure ha contribuito a creare, come sostiene la filosofa indiana Preetha Krishna: “la natura è una grande sperimentatrice, come pensate che sperimenti? Fondamentalmente scarta le specie che non supportano l’intero sistema!…”.

Pino Scaglione

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