Un Paese che si scopre impreparato di fronte alle grosse emergenze
L’Italia si è trovata impreparata di fronte a quella che si sta profilando sempre più come un’emergenza nazionale. La paura dell’estensione dei contagi da coronavirus, pur nella consapevolezza della bassa letalità, sta mettendo a dura prova la tenuta di un sistema assistenziale, che negli ultimi venti anni è stato fortemente ridimensionato e mortificato in ragione della spending review. Persino regioni additate come esempi e modelli sanitari da esportare, come la Lombardia, si sono scoperte inadeguate. Tutto questo ha ragioni profonde e responsabilità precise, nazionali e sovranazionali, che non vanno sottaciute. La sanità è stato il settore nel quale ogni governo ha apportato tagli, fino a ritrovarci con una coperta troppo corta. Il governo Monti è stato quello che ha dato il colpo finale: stretto nella tenaglia di Bruxelles, che imponeva il rientro rapido del deficit, ha tagliato tutto ciò che poteva, sacrificando diritti essenziali garantiti dalla nostra Costituzione, dal diritto alla salute, al lavoro, al diritto alla pensione dopo una vita di sacrifici. Il decreto Balduzzi ha imposto a ogni regione stretti parametri, per rispettare i quali, sono stati perpetrati tagli continui alla sanità, con riduzione di posti letto, chiusura di ospedali, blocco del turnover dei medici, per cui chi andava in pensione non veniva rimpiazzato. Ci ritroviamo oggi con 70.000 posti letto in meno, un forte deficit di personale medico e paramedico, col rischio di collasso se l’epidemia dovesse perdurare e compromettere ulteriormente organismi già fragili. La legge Madia, renziana, ha dato un ulteriore colpo basso alla sanità, inserendo nelle sue maglie un articolo che prevede per le Aziende sanitarie la possibilità di assumere personale medico a patto che, per pagarlo, si erodano delle voci – precisamente l’indennità di posizione aziendale – dagli stipendi degli altri medici. Il conto, insomma, veniva addebbiato a chi già lavorava, che, se voleva rinforzo ed aiuto, se lo doveva pagare. Oggi il nostro Paese si scopre fuori dagli standard europei per quanto riguarda la disponibilità di posti letto, con una media di 3,2 per 1000 abitanti, a fronte dei 5 della media europea. In Lombardia si è pensato, per anni, a favorire lo sviluppo del privato, sacrificando il pubblico e questo sarebbe dovuto essere l’esempio virtuoso per gli altri, molti dei quali fortunatamente, come l’Emila Romagna, non si sono accodati e oggi risultano meno in affanno.
Per decenni abbiamo buttato miliardi di euro per tentare inutilmente di salvare un carrozzone come la compagnia di bandiera e abbiamo tagliato risorse nella sanità, salvo accorgerci, oggi, di fronte a una probabile emergenza, che difettiamo di strutture, specie terapie intensive, e di personale. Una corsa affannosa dei governi degli ultimi 15 anni a chi tagliava più risorse ed erodeva più diritti. Contestualmente, non si è investito nelle regioni meno fornite di strutture sanitarie, anzi sono state commissariate con raggiungimento del poco invidiabile obiettivo di dimezzare le strutture, già carenti, e raddoppiare il deficit (vedi Calabria).
Ciò che è successo con le pensioni è stata nient’altro che la ciliegina sulla torta: minori protezioni e taglio di diritti acquisiti.
L’aberrazione della legge Fornero è stata l’aggancio con la vita media dell’età pensionabile, sicchè dal 2021 non basteranno più 42 anni e 10 mesi di lavoro per essere collocati a riposo, con la prospettiva dei 70 anni di età per andare in pensione. In pratica, un lavoratore che va in pensione all’inizio della settima decade di vita, o giù di lì, e che ha lavorato 44 anni, per ricevere dalla Stato quanto questi gli ha trattenuto, dovrebbe campare almeno 115 anni.
Il risultato di queste politiche folli è un Paese con meno diritti e soprattutto minori tutele, che lo rendono fragile e poco pronto a qualsiasi minaccia. In Cina, in 10 giorni hanno mostrato al mondo come si costruisce un ospedale di mille posti letto, da noi non bastano 10 anni per espletare l’iter burocratico per l’avvio dei lavori. Spesso, quando l’opera viene ultimata, viene lasciata all’usura del tempo prima di essere utilizzata. In sintesi, gli errori di una classe politica incapace e corrotta, rischiano di ricadere oggi sulle persone più fragili, quelle che uno Stato democratico dovrebbe tutelare e proteggere.
Massimo Conocchia