Troppo Nord, poco Sud: ma è davvero così?

“Io sono una forza del Passato. Vengo dai ruderi, dalle chiese, dalle pale d’altare, dai borghi abbandonati sugli Appennini…dove sono vissuti i fratelli!”

Pierpaolo Pasolini, così scriveva in “Poesia in forma di Rosa” evocando, in questo passaggio, quello che oggi il Sud, tra decadenza, perdita, ma intatta bellezza, rappresenta rispetto al Nord.

La memoria, il passato, i ruderi, le pale d’altare, i santi, i poeti, gli eroi, i paesaggi, la forza contrastante della natura, e ancora tanto altro, appartengono senza dubbio a questo mondo che perde colpi ogni giorno di più rispetto al resto delle realtà e che sembra, misteriosamente, costretto in questo buio passaggio tra nostalgia, rimpianto e rifiuto di cambiare.

Certo, oltre le populistiche affermazioni di Pino Aprile, secondo le quali stavamo meglio con i Borboni, occorre una seria presa di coscienza di quanto il Sud sia penalizzato rispetto al nord a partire dalla ripartizione pro-capite delle risorse che giungono a regioni ed enti del mezzogiorno, oggi realmente sbilanciate a vantaggio del Nord, checchè ne possa dire il signor Salvini.

Ma occorre anche civilmente, fermamente ribadire quanta responsabilità via sia in questo sfascio, tra le classi politiche incapaci e le classi dirigenti e intellettuali del Sud, che hanno difeso privilegi e interessi di casta, contribuendo a consolidare condizioni strutturali di sottosviluppo.

Ed è così raro tra i meridionali ammettere colpe e responsabilità -come lo è per gli italiani in generale- così che un gesto civile come il libro “Le colpe del Sud”, scritto dal direttore del Quotidiano di Puglia, Claudio Scamardella, spiazza e mette via una serie infinita di luoghi comuni che pesano come zavorra eimpediscono, troppe volte, ogni volo alto nei ragionamenti sulmeridione e sui meridionali! Nel libro, l’autore, con una vera e lucida indagine giornalistica, in cui incrocia ricerche, dati, elementi delle vita reale, fa emergere luci ed ombre tra cui quelle che mi hanno colpito nella prima lettura del volume: il non aver capito il ruolo determinante del meridione come snodo del Mediterraneo, inseguendo inutilmente un nord troppo distante e diverso per tempi e modi; il lamento che “lo sfascio di oggi è sempre e solo colpa della politica” e mai mettersi in gioco come società civile, anche tra la buona borghesia illuminata (?); aver costruito una micidiale macchina burocratica che si inceppa troppo spesso perché complessa e volutamente contorta; essersi nei lunghi anni, affidati all’efficacia dell’intervento statale, senza rimboccarsi le maniche -tranne casi eccezionali- e aver rincorso il “posto fisso” già dall’arrivo dello Stato Unitario, perdendo ogni slancio e umiliando una storica vocazione imprenditoriale. 

A tal proposito mi viene in mente un’altra recente, bellissima lettura, “I leoni di Sicilia”, la storia dei Florio, famiglia calabrese poverissima, di Bagnara, che emigrata in Sicilia costruirà, dal nulla, la più grande impresa del sud tra fine Ottocento e primo Novecento, e che investirà molto in cultura, immagine (ricordo la mitica Targa Florio, che ancora oggi si corre), innovazione, proprio quella serie di elementi che Scamardella rilancia come necessari per una nuova stagione civile, produttiva, avanzata, in una macroregione del meridione, in cui sindaci e amministratori siano responsabilizzati sulle scelte locali e interregionali in uno scenario di alleanze e necessario coordinamento e confronto.

Dunque “tra Savoia e Borbone, scelgo il re di Prussia” titola Peter Gomez nell’editoriale dell’ultimo numero di Millennium, tutto dedicato al riscatto del Sud, e scrive con coraggio e lucidità che tra abbandono, spopolamento, fuga di braccia e cervelli, esiste ancora un sud non fotografato dalle statistiche, “un sud fatto di eccellenze, pronto a mettersi a correre se solo avesse delle classi dirigenti appena accettabili, in grado di dare ai cittadini il buon esempio”. 

E forse è a questo sud, alla sua parte più civile, emancipata, coraggiosa e impavida che pensa di dare manforte il nostro giovane ministro del Sud Provenzano, prevedendo di inviare diecimila funzionari qualificati al meridione per svecchiare procedure, oleare meccanismi inceppati, sbloccare la macchina arrugginita sostituire inetti e incapaci.

La conclusione semplice, che sinteticamente traggo per necessità di questa rubrica, è che il Nord non ha bisogno del Sud e viceversa, però entrambi necessitano che il paese si muova con una sola marcia in direzione di una fase nuova diversa, emancipata, in grado di stare al passo con l’Europa e il mondo, perché solo con questa forma di “compensazione”, in cui ciascuno svolge il proprio ruolo, pur nelle diversità culturali e antropologiche, il Sud ripartirà e così riparte l’Italia e il Nord.

E non ci sono ragioni che tengano se non quelle di riuscire a raggiungere, al Sud, un livello di equa legalità, di vera e nuova civiltà, oltre che di vere infrastrutture, di coesione sociale, di rifiuto della sconfitta e del lamento, di riconoscimento e rilancio delle proprie infinite e uniche risorse.

Perché anche solo una parte delle pre-visioni sane di Scamardella, di una stagione di nuovi Florio, del sogno del ministro Provenzano e dell’incitazione di Gomez abbiano luogo, occorre da subito un ceto politico all’altezza di questa sfida, in ogni dimensione, e una classe dirigente rinnovata alle fondamenta, con una generazione di intellettuali coraggiosi che ritrovi umanità e senso di appartenenza, prima che di difese di privilegi, ma soprattutto una cittadinanza attiva, viva, vigile, civile e orgogliosa delle proprie radici e della capacità di valorizzare le proprie eccellenze, molte delle quali tra i giovani che sono fuggiti e attendono -felici- di poter tornare!

Pino Scaglione

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