Erotismo e poesia in Vincenzo Padula
Eros e thanatos (amore e morte) scandiscono la nostra vita e, naturalmente, trovano spazio nella poesia e segnatamente in quella tra Ottocento e Novecento. In questo periodo la poesia erotica ha vissuto una fase di particolare vigore con espressioni varie a seconda della sensibilità, della propensione e del livello artistico del poeta. Gli esempi non mancano ma occorre anzitutto un distinguo e una premessa: erotismo non è e non sarà mai pornografia, esaltazione di nudità o di basse gestualità istintuali. Erotismo è la raffinatezza con cui si lascia intendere, intuire le pulsioni e gli stimoli che sottendono alla ricerca del piacere. Fra gli esempi che ci vengono d’istinto in mente, potremmo citare in nostrano Vincenzo Padula, che, con buona pace di molti, non è e non potrà mai ridursi a essere un esponente dell’ortodossia clericale – che avversava – né un bigotto. Da alcune sue poesie emerge, chiaro, nitido, il senso più alto dell’eros. Due sono i sonetti da cui emerge, a nostro modo di vedere, con veemenza ed eleganza, il senso dell’eros per il “prete rosso”: “I quindici anni” e “Il bacio”. L’autore si mantiene equidistante sia da una raffinatezza tutta estetizzante – che troveremo più avanti in altri grandi autori del primo Novecento, anche italiano – sia da tentazioni picaresche, da quello spirito vagamente corrosivo che scioglie nella volgarità della pornografia – tanto cara a certi “cantori” contemporanei – ogni ambizione artistica. Padula, in definitiva, riesce a infilare il refe del suo estro nella cruna dell’erotismo e il risultato è straordinario. Riproponiamo le due poesie per il gusto dei nostri lettori:
I quindici anni
Già tien quindici anni la vaga fanciulla,
Né più del giardino coi fior si trastulla;
Non segue gli uccelli, non l’aurea farfalla.
Le piaccion i preti, va sempre alla messa.
Abbassa gli sguardi, tien curve le spalle;
Compone altarini, ogni dì si confessa,
Ricerca i silenzi di luogo romito,
Sospira il marito, sospira il marito.
Togliendosi al desco, va subito a letto,
E tosto sen leva con pallido aspetto.
S’alcuno la chiama, talora non sente,
Talor non capisce, talor non risponde,
Com’altro pensiero le andasse per mente,
Del quale s’inebria, e che a tutti nasconde;
Ha sonno brevissimo, tien poco appetito,
Sospira il marito, sospira il marito.
Se affetta la frutta, le dita si taglia;
Se tesse la calza, le scappa la maglia;
Se sorge, pendenti sui fianchi ha le mani,
Se guarda, annebbiata le appar la pupilla;
Se va, spinge i passi ora presti ora piani,
Or senza ragione sta mesta, or tranquilla,
Fa mille ricami, ma niuno è finito:
Sospira il marito, sospira il marito.
Si ferma allo specchio, e in quel lucido vetro
Osserva se fatta sia bene di dietro;
E fuor, della lingua spingendo la punta,
Qual dardo di fuoco la vibra e dimena,
Poi torna a guardarsi, ed un lieve le spunta
Sorriso che agli occhi le guizza e balena;
Il naso si gratta sovente col dito,
E mette un sospiro, che vuole il marito.
Il bacio
Sopra le labbra sento una vampa,
Qual di rovente ferro la stampa:
Perché son aride? Perché avvizzate?
Ah! Un bacio, un bacio me l’ha bruciate!
Io non più veggio: sulla pupilla
Mi è sceso un velo, che già coprilla.
Or perché cieco io diventai?
Ah! Un bacio, un bacio mi ha chiuso i rai!
Sogno e vaneggio; chi mi rimira
Sorpreso dice: Costui delira.
Povero ingegno, dove sei gito?
Ah! Un bacio, un bacio me l’ha rapito!
Stanco e di requie desideroso,
Giaccio sul letto, ma non riposo;
I miei pensieri dormir non ponno.
Ah! Un bacio, un bacio mi ha tolto il sonno!
Fu viperella dunque, o serpente
Colei che mòrseti con aspro dente?
Ah! Non fu serpe, non viperella,
Ma il bacio, il bacio d’una donzella..
Massimo Conocchia .