E Caino disse: “Andiamo ai campi”, il nuovo romanzo (e saggio) di Vincenzo Rizzuto.
Ho letto con sommo piacere il nuovo lavoro del prof. Rizzuto, fresco di stampa per i tipi di “Confluenze” (genn. 2020, pp 198). Si tratta di un romanzo a sfondo sociale ed etico, nel quale, attraverso le vicende esistenziali di due protagonisti – Mario, calabrese, e Rocco, siciliano – vengono affrontati con maestria e sapienza valori eterni come l’amicizia, la lealtà, l’onore, assieme a piaghe mai sanate come la violenza, la sopraffazione e tant’altro. Sempre con lo stile pacato e piacevole, tipico di Rizzuto, che, ormai esperto nell’arte della scrittura e della trasmissione della propria visione del mondo, coinvolge il lettore in un’atmosfera poetica speciale.
Entrambi i personaggi sono costretti, per ragioni diverse, ma non dissimili, ad abbandonare la loro terra per la Germania, meta preferita dagli emigranti meridionali del secondo Novecento. La fredda Stoccarda fornisce riparo ai loro corpi ma non riesce a dar pace alle loro anime in pena.
Mario sceglie di lasciare la Calabria in cerca di un lavoro stabile, ben pagato, che gli consenta di preservare la sua dignità di uomo, assai spesso svilita da lestofanti che sfruttano il lavoro altrui sottopagandolo e mortificando la persona.
Rocco è costretto dai genitori mafiosi della donna che ama a lasciare la Sicilia, dopo il rifiuto di questi ad acconsentire all’unione con un “semplice” maestro elementare, nonostante la “fujtina”.
Il romanzo è anche un ottimo spaccato di come funzionassero le cose nel Sud, dalla gestione “padronale” della scuola, alla negazione di bisogni essenziali nei vari campi, per cui ogni diritto diviene una concessione e ogni giusta rivendicazione diventa una “ribellione”.
L’eterna lotta tra il bene e il male, insita nella natura umana, imperversa nel romanzo. L’autore riesce a tenere col fiato sospeso il lettore, incapace di staccarsi, preso dalla curiosità di arrivare alla fine della storia, anzi delle storie.
Il libro raggiunge momenti di tale intensità da sfiorare la commozione. Un’altalena di sentimenti attraversa il lettore, sempre sospeso tra la tensione emotiva per le vicende umane degli uomini e la rabbia per come, spesso, dalle nostre parti, vengono frettolosamente risolte questioni che, specie quando toccano i sentimenti, lasciano nelle vittime cicatrici indelebili.
La vita, si sa, va a capo quando le pare, per cui le esistenze di Mario e Rocco vengono più volte sovvertite e, quando tutto miracolosamente sembra volgere al meglio, ecco che un tragico finale rimette ogni cosa in gioco e bisogna nuovamente riprendere la lotta. Lo sfondo nel quale la storia si dipana è meraviglioso e spazia dalle foreste di un verde folto dell’altopiano silano al grigio e pallido sole d’oltralpe. Valori eterni come l’amicizia – quella vera, per la quale si è disposti al sacrificio più alto -, l’amore, il bisogno di giustizia, vengono sapientemente infilati nella cruna di un ago sottile e delicato, attraverso il quale l’autore riesce a imbastire e tenere insieme una bellissima storia nella quale l’intelaiatura robusta delle tematiche è resa attraente e leggera dalla capacita di narrare che, senza mai appesantire, finisce per arrivare al cuore e alla mente del lettore. Il prof. Rizzuto, in definitiva, riesce a trasmettere la sua idea del mondo, la sua avversione per le ingiustizie, cui gli uomini debbono necessariamente ribellarsi se vogliono dare un senso al loro essere nel mondo. I personaggi, però, in quanto uomini, appaiono come spicchi di un arancia tenuti insieme dalla buccia e la buccia è il Fato, che tutti li sovrasta e a cui tutti devono conformarsi. Il Fato, nella concezione di Rizzuto, non è una divinità ma una forza misteriosa, non ha genealogia ma governa i destini degli uomini dei quali si fa beffa. In questa visione mitica l’autore vede e suggerisce una via d’uscita: la trasgressione. Trasgredire ha, in definitiva, una duplice finalità: forzare i limiti imposti dalle convenzioni e abbattere alcuni steccati che limitano l’uomo nella sua libertà. Il compito è arduo e la vittoria è tutt’altro che certa, ma bisogna provarci fino in fondo.
Il romanzo è corredato da un saggio sull’opera di Giuseppe Antonio Arena – che delle battaglie ideali aveva fatto una ragione di vita – e che completa piacevolmente il libro.
Massimo Conocchia