Acri sta diventando una discarica a cielo aperto

Ne sono piene le strade di spazzatura abbandonata. Basta allontanarsi un po’ dal centro urbano, e percorrere una delle tante arterie che collegano l’abitato di Acri con le sue contrade, che subito incontriamo sacchetti di rifiuti, vecchi elettrodomestici, copertoni, materassi, insomma tutto ciò che non serve più e non si può, o non si vuole smaltire con la raccolta differenziata porta a porta. Un malcostume che si sta diffondendo a macchia d’olio e che sta trasformando il territorio comunale in una discarica a cielo aperto. Cittadini, o gentaglia per meglio dire, in barba a leggi e regolamenti, ma, soprattutto, senza amore e rispetto per il territorio in cui essi stessi dimorano, si sbarazzano con assoluta noncuranza di quello di cui devono disfarsi, abbandonandolo a ciglio strada. Evidentemente non sanno che basta una telefonata alla società che smaltisce i rifiuti, la quale, previo appuntamento, viene sotto casa a ritirare ciò che non serve più.. 

Purtroppo oltre alla disinformazione, la fa da padrona la mancanza di educazione civica e ambientale: le istituzioni non si sono affatto impegnate per far comprendere alla popolazione che la cosa pubblica non è un bene di nessuno, ma appartiene a tutti. 

Riflettendo, il cittadino, atavicamente abbandonato e bistrattato dalle istituzioni, tenuto ai margini della gestione pubblica, invece di esserne reso partecipe, nutre un sentimento di astio e di rancorenei confronti delle Amministrazioni. La massiccia astensione dal voto nelle recenti consultazioni regionali ne è la riprova. La mancanza di infrastrutture realmente utili alla collettività e l’inefficienza dei servizi non fanno altro che accrescere questo malcontento, per cui, di riflesso, se il servizio di raccolta differenziata subisce, ad esempio, un ritardo a causa di avverse condizioni meteorologiche, immediatamente scatta quel meccanismo per cui qualcuno si sente autorizzato a buttare la spazzatura per strada.

D’altra parte l’amore per l’ambiente non è nel DNA degli acresi. Basti pensare, ad esempio, al viale di aceri abbattuti per far posto ad una pista ciclabile di dubbia utilità, o alla creazione della piazza antistante la basilica di S. Angelo, una vista a trecentosessanta gradi di solo cemento a faccia vista, o alBelvedere, area verde violentata due volte, prima dalla cementificazione e ora dal degrado. Pensiamo al parco caccia,dove un bosco di castagni fu trasformato dapprima in discarica abusiva nella quale venne gettato di tutto e di più, successivamente interrato  (quanto è costato l’esproprio di quel terreno?) per consegnare alla cittadinanza uno spazio che, per come è stato concepito e mal realizzato, nasce già degradato . Per non parlare della distruzione totale della vegetazione ripariale del fiume Mucone, avvenuta qualche anno addietro, senza che istituzioni e associazioni presenti sul territorio  muovessero un dito. Questi i fatti più eclatanti avvenuti in tempi più recenti, ma c’è anche chi giustifica tutto ciò con un paradosso, affermando che Acri non ha bisogno di spazi verdi all’interno del centro urbano perché è il paese stesso a essere circondato dal verde!

Nel mese di aprile dello scorso anno, su queste pagine, apparve un annuncio relativo all’acquisizione, da parte del Comune di Acri, di trenta foto-trappole donate dall’Ente Parco Nazionale della Sila, allo scopo di contrastare o quanto meno scoraggiare il fenomeno dell’abbandono indiscriminato di rifiuti sul territorio comunale. Oggi, dopo che è passato quasi un anno, non sappiamo nulla sull’effettivo utilizzo delle stesse. Le ineluttabili pastoie burocratiche ne hanno impedito l’utilizzo o ci si è semplicemente dimenticati di esse?

Dobbiamo constatarlo, gli acresi non amano la natura, altrimenti non si spiegherebbe come gli stessi proprietari di appezzamenti di terreni li trasformino in baraccopoli o ancor peggio in discariche: vecchi container , tralicci dell’alta tensione, carcasse di automobili e quant’altro vi vengono depositati indiscriminatamente. C’è anche chi in maniera folcloristica utilizza una betoniera o una cisterna da autotrazione, come riserva d’acqua per irrigazione.

Il giardino, inteso come complemento dell’abitazione o della villa, non è concepito, se non in rari casi. Il più delle volte si sterilizza lo spazio che circonda la casa con una colata di cemento, al massimo si impianta una siepe per proteggere la privacy. Raramente si mette a dimora qualche essenza arborea, per lo più di conifera, con la convinzione che il sempreverde non sporca con le sue foglie, ottenendo invece  il risultato opposto, ritrovandosi invasi dagli aghi di pino, di cedro o di abete durante tutto l’arco dell’anno. Alla fine, quando l’albero diviene troppo invadente, viene inesorabilmente abbattuto.

Sicuramente è un fatto culturale, non per forza legato allamancanza di scolarizzazione, ma la popolazione di queste latitudini non possiede il senso estetico, il piacere per le cose belle, che può essere innato oppure acquisito per istruzione o ancor più per consuetudine sociale. Ecco proprio quest’ultima è quella che si è smarrita. Ne è la riprova il fatto che nessuno parla, s’indigna, protesta, insomma non gliene frega niente a nessuno, anzi, ai rifiuti per strada si è fatto l’occhio, al pari delle altre brutture che nessuno nota più. La visione dell’ambiente naturale che circonda il centro urbano, non considera lo stesso come un patrimonio da tutelare ricco di opportunità di svago e anche di lavoro, ma è vissuto con un senso di isolamento e di oppressione che porta la popolazione ad affermare che ad Acri non c’è niente. Questi boschi, queste montagne, queste vallate, i corsi d’acqua, le sorgenti, il clima, la fauna e la flora pullulanti di biodiversità, ne fanno uno degli ambienti naturali più suggestivi al mondo, ma sono il niente per l’acrese che, salvo rare eccezioni, esce dalle quattro mura di casa solo per pasquetta e ferragosto,  

Domenico Gallipoli

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