Su due “detti”

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Negli anni passati si usava l’espressione: – Pari ‘na bonìfica! – (Sembra una bonifica!); – È ‘na bonìfica! ( È una bonifica!), per dire di qualcosa di interminabile. Il riferimento è alla bonifica della valle del Crati, dove proliferava la malaria e colpiva, spesso mortalmente, chi vi lavorava.

Ecco come si presentava ‘u Vallu (Vallo del Crati)  nel 1865:

“Può considerarsi che, in tutta questa grande sua estensione, il letto o per meglio dire la valle del Crati, agisca come una immensa vasca, la quale ritiene i materiali più pesanti delle alluvioni de’ suoi influenti, non lasciando passare nel tronco inferiore, del quale parlerò fra breve, che le sabbie fine e le argille. Ne consegue che il fiume non vi ha letto ben determinato e va girovago, secondo 1’abbondanza delle alluvioni, che lo deviano ora a diritta, ora a sinistra; e che solo scorgonsi nella valle boschi palustri con pochissime terre coltivate, per la incertezza in cui vive chi le semina, di poter raccogliere la messe prima che il fiume vi corra sopra e le copra di ghiaia ed arene”.

Si poteva riporre qualche rimedio, come si era tentato nel periodo preunitario?

Il nostro autore afferma, risolutamente: “In tale stato di cose riesce difficilissimo il porre rimedio ai pestiferi impaludamenti, perché le opere nella valle del Crati, quantunque grandiose si facciano, saranno in breve sepolte dalle alluvioni che vi depositano i suoi influenti”.

Quanto l’affermazione fosse fallace lo dimostrano i lavori di bonifica del 1900.

All’epoca e precedentemente si attribuiva la malaria ai “miasmi” e non alle zanzare anofele che vi proliferavano.

La preoccupazione di contrarre la malaria era stata sempre tanta, Nel 1836, come riportato in uno dei numeri di “Confronto”, Acri chiedeva l’istituzione di una fiera, giustificando che era pericoloso recarsi in quelle nei pressi del Vallo.

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Il popolo crede nei sogni e ritiene che quelli del mattino siano veridici.

Le donne, specie nei tempi andati, appena sognavano qualcosa, per evitare che si avverasse, ovviamente se prediceva disgrazie, si affrettava a raccontarlo alle vicine. Così facendo, le era stato tramandato, il sogno non si sarebbe avverato.

C’era, però, chi diceva: – ‘Un cridar’a sùonnu! (Non credere ai sogni!). Ripeteva il detto per sottolineare che quanto si dava per certo non si sarebbe avverato.

Allora: i sogni sono premonitori oppure no?

Vi sembrerà incredibile, ma Vincenzo Padula credeva ai sogni e ne scrisse e in più luoghi ne scrive, come capaci di predire, di comunicare con gli estinti ecc.

Il dubbio dell’interrogativo formulato, purtroppo resta.

C’è chi porta a conforto la testimonianza d’un autore classico, nientemeno che Cicerone.

Questo autorevole uomo e avvocato scrisse, infatti, fra l’altro De divinazione. E, sentite cosa riporta.

Due Arcadi, viaggiando insieme arrivarono a Megara, città greca posta tra Atene e Corinto. Uno alloggiò in casa di un amico, l’altro in una osteria. Il primo, appena cenato, andò a dormire. Sognò l’altro alloggiato all’osteria. Lo pregava di accorrere in suo aiuto, perché l’oste voleva ammazzarlo. Spaventato per il sogno si alzò. Pensò, però, che, in fin dei conti era un sogno, e tornò a letto. Si addormentò. Sognò nuovamente l’amico che gli disse che, se non aveva voluto accorrere in suo aiuto almeno non lasciasse la sua morte impunita. Gli disse che l’oste, dopo averlo ammazzato, aveva nascosto il suo corpo in un carro coperto di letame. Gli chiese, ancora, che la mattina si fosse trovato alla porta della Città, prima dell’uscita il carro. Spaventato dal sogno andò di buon mattino alla porta della Città. Vide il carro e domandò al conduttore cosa vi fosse sotto il letame. Il carrettiere fuggì. L’uomo chiamò le guardie, si trovò il cadavere e l’oste incarcerato fu punito.

‘Un cridar’ a suonnu?!  Bisogna o no prestare fede a Cicerone? Fate voi.

Giuseppe Abbruzzo

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