Dopo l’importante sito di Colle Dogna, quali altre grandi sorprese archeologiche riserverà per il 2020 il nostro bellissimo territorio?

La nostra associazione A.C.R.I. ha accolto con vivo interesse le relazioni presentate il 20 novembre scorso ad Acri dal prof. Alessandro Vanzetti e dalla dott. Maria Antonietta Castagna dell’Università di Roma, in occasione del premio internazionale Vincenzo Padula. Partendo dagli spunti forniti dallo stesso professore, ci interessa particolarmente porre all’attenzione di tutta la comunità alcune riflessioni, per sottolineare come il nostro patrimonio archeologico abbia delle sorprese straordinarie da svelare.
Il sito di Colle Dogna/Logna fu scoperto casualmente nel 1996, grazie alla segnalazione di un privato cittadino. Dopo un primo immediato sopralluogo a cura della Soprintendenza, lo scavo fu iniziato solo nel 1999, continuato nell’anno successivo, ripreso e chiuso definitivamente nel 2008. L’indagine archeologica, eseguita sotto la direzione del prof. Alessandro Vanzetti, si è dovuta far carico di ciò che si era fortunosamente salvato a seguito di grandi lavori di sbancamento con mezzi meccanici, asportazione di terra contenente materiale archeologico (come si è venuto a sapere in un secondo tempo) e costruzione di fondamenta per la realizzazione di un nuovo edificio scolastico.
In condizioni certo non facili, gli archeologi hanno portato alla luce i resti di un’abitazione ascritta all’ Eneolitico tardo (datazioni alradiocarbonio: 2754 ± 84 cal a.C. ; 2710 ± 114cal a.C.), sovrapposta a strati del Neolitico (antico e medio) eassociata a materiali consistenti, vasi quasi interi, del Bronzo antico (datazione fornita: XIX-XVII sec. a.C.). Quest’ultima categoria di materiali, cherappresenta un’assoluta novità per tutto il comparto territoriale, piana di Sybaris compresa, non rappresenta altro che una parte residuale del materiale scavato più a monte e rimosso dai citati lavori edilizi, materiale per la maggior parte asportato e disperso.
Nel corso delle due relazioni, è stata sottolineata la rilevanza straordinaria di questo sito archeologico, di caratura nazionale; ci rammarica, dunque, constatare che l’iniziativa di quello scavo, forzatamente limitato nelle dimensioni, per l’emergenza ma anche per l’assenza di vincoli di tutela successivi alla scoperta, si sia conclusa senza dare seguito a indagini archeologiche più estese e approfondite. Ci chiediamo come ciò sia potuto accadere, come e perché non si sia provveduto a porre un vincolo archeologico sull’area interessata.
Sono state in realtà organizzate due ricognizioni archeologiche di superficie sul territorio di Acri, nel 2002 e nel 2016, ma di queste non si conosce ancora né la precisa estensione, né il metodo seguito, né i risultati effettivi. La restituzione dei dati scientifici emersi da queste indagini ci sembrerebbe in questo caso particolarmente importante, considerato che il ritrovamento di Colle Dogna fornisce l’attestazione di una presenza umana significativa in una fase cronologica della quale mancano dati per tutta la Calabria settentrionale (eccetto ritrovamenti in grotta, semplici deposizioni cultuali, a Cassano all’Ionio e a Saracena). Che cosa è emerso nel resto del territorio? Che cosa manca da indagare?
Nella sua relazione, il prof. Vanzetti insiste su 4000 anni di presenze, però, a suo avviso, discontinue (“gente che andava e veniva”) dal 5600 circa al 1600 circa a. C. A questo proposito, non possiamo non notare che proprio verso il 1600 a. C. viene posta la fine della fase del Bronzo antico, fase attestata appunto dal materiale residuale di Colle Dogna. Sempre secondo la ricostruzione del prof. Vanzetti, tutto lo sviluppo successivo, dal Bronzo medio circa in poi, sarebbe avvenuto solo nelle zone più basse, collinari e semipianeggianti, della cosiddetta piana di Sibari. Si consideri che con il Bronzo medio e recente si hanno le prime attestazioni certe dei contatti delle nostre terre con il mondo greco-miceneo, ed è probabilmente da questi primi contatti che emerse la denominazione dei popoli indigeni come Enotri. Ma questo popolo degli

Enotri, secondo la denominazione usata dalle fonti greche più antiche,non si può escludere che abbia iniziato a costruire la propria organizzazione socio-culturale e che abbia acquisito la propria identità etnica già nel corso dei secoli precedenti. E anche qui si tratta, ci sembra, di una questione fondamentale, a cui Acri con il suo territorio potrebbe fornire valide risposte che ancora mancano.
Come associazione, ci piacerebbe allora porre altre domande al prof. Vanzetti: come può essere spiegato uno spostamento dell’intera popolazione dall’altopiano alla pianura attorno al 1600 a. C.? Come e perché l’altopiano sarebbe stato abbandonato? Quale ruolo avrebbe svolto il territorio di Acri entro questo periodo storico del bronzo medio e recente, mentre nelle zone centrali e settentrionali della piana di Sibari si formavano i primi insediamenti stabili?
Vorremmo far notare che tutto il territorio acrese ha da tempo fornito e continua a fornire altre risultanze, che parlano, a nostro parere, di continuità e densità di occupazione. Oltre ai frammenti di ceramica in superficie, oltre ai ritrovamenti casuali di monete di varie epoche regolarmente consegnate alla soprintendenza ma mai studiate ecc., vi sono altre testimonianze archeologiche certe che attestano questa continuità dell’occupazione e quindi il perdurare dell’importanza del territorio ben oltre l’orizzonte del Bronzo antico. Ancora una volta, sollecitiamo l’interesse di tutti a che la comunità sia resa partecipe del suo tesoro! Citiamo ad esempio il sito di Timpone della Morte, topograficamente non separabile dalla zona del centro cittadino e di Colle Dogna, un sito datato al Bronzo recente. Chiediamo al prof. Vanzetti perché questo sito non venga utilizzato, nella sua relazione, per l’interpretazione globale del sistema insediativo del territorio acrese. Non meno rilevante è il santuario greco (o greco-indigeno?) del VI-III sec. a.C. di Forge di Cecìta, ubicato sulle rive del nostro fiume Mucone, nella Sila Grande, testimonianza dell’interesse primario che il territorio rivestiva sin dall’epoca arcaica, cioè in concomitanza con l’installazione e il consolidamento dei primi grandi insediamenti (le ben note apoikìai dei Greci)sulle coste ioniche e tirreniche. Non solo: accanto al santuario si è rivelata un’occupazione umana significativa e consistente, che si prolunga almeno fino all’età imperiale romana. La centralità di Acri e del suo territorio, la posizione rilevante che esso ha assunto, con continuità, nelle epoche passate, meritano davvero di essere indagate e adeguatamente valorizzate.
Siamo perciò convinti che con uno studio approfondito ed esteso su Acri e su tutto l’Altopiano (Sila Greca e Sila Grande)restituirebbe, non solo a noi cittadini acresi, ma a tutta la comunità scientifica, un patrimonio inestimabile; apporterebbe inoltre alla nostra comunità una nuova consapevolezza di punti di forza su cui basare la valorizzazione, anche economica, di un territorio la cui ricchezza viene troppo spesso sottovalutata.
Riteniamo che con un progetto archeologico sistematico sul nostro territorio si avrebbe l’occasione unica di penetrare, molto probabilmente, all’interno di un aspetto fondamentale ma ancora irrisolto della storia non solo della Calabria, ma dell’intera Magna Grecia e della Sicilia. In questo luogo centrale del Mediterraneo, nel corso di millenni, si realizzò una sintesi culturale scaturita dall’apporto di più civiltà. Noi conosciamo meglio l’apporto dei migranti Greci, perché sono loro ad averci lasciato le prime testimonianze scritte. Ma quale fu il contributo effettivo della civiltà indigena? Qui, nel nostro territorio, potremmo trovare risposte che ancora mancano e che sono attese per l’interpretazione stessa di vari reperti archeologici già noti della cosiddetta civiltà magnogreca.
C’è infine un altro aspetto da non dimenticare. L’assenza assoluta di vincoli e controlli, unita a una persistente sottovalutazione del significato storico del nostro territorio, rischia di comprometterne l’enorme potenziale storico-culturale, conservatosi, nonostante tutto, nel corso dei millenni trascorsi.

La nostra Associazione, recentemente costituitasi, ha tra i suoi scopi appunto quello di funzionare da sostegno a qualsiasi intervento scientificamente qualificato che possa mettere in risalto tutte le componenti archeologiche e storico-culturali che il territorio ancora conserva e si è assunta l’impegno di contribuire alla sua tutela e valorizzazione. Per il bene di Acri e del suo territorio.
A.C.R.I. Associazione Culturale Re Italo

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