Le carceri borboniche! E quelle dei Savoia?
Ci hanno insegnato nelle scuole che le carceri, all’epoca dei Borbone erano la negazione di Dio, come scrisse l’inglese William Ewart Gladstone, anzi, per l’esattezza la frase è “la negazione di Dio eretta a sistema di governo”. Ancora oggi si continua a ripeterlo nelle nostre scuole senza dire, però che tutto fu sconfessato dal suddetto, che dichiarò di non aver mai visitato quelle carceri e da chi era stato sollecitato a scrivere la riportata frase. Tralasciamo di soffermarci sulla polemica che ne seguì.
Dopo l’Unità d’Italia, sotto i Savoia, le cose saranno migliorate nelle carceri come dalla notte al giorno. Si promettevano, infatti, mirabolanti riforme, da parte dei liberali.
Ce l’hanno fatto credere. Sentite, però, cosa scrive il corrispondente dall’ex regno delle due Sicilie, nel 1862, su La Civiltà Cattolica, nota rivista dei gesuiti:
“il Governo di Torino, a parer nostro, dovrebbe preoccuparsi del malcontento generale dei Napolitani, di cui si ha chiara espressione nel numero esorbitante degli imprigionati per causa politica, ossia perché sospetti di avversare il presente stato di cose”.
Come? Si imprigionavano i dissidenti? Incredibile!
Sentite ancora cosa si scriveva:
“Nella camera dei Lordi (sic) d’Inghilterra il Marchese di Normanby, nella tornata del 7 Luglio, denunziò all’esecrazione del mondo civile quella inaudita barbarie onde si rendono esecrabili i dominatori del Regno, tenendo carcerati nella sola Napoli non meno di sedici mila persone”.
Impossibile! Il governo della nuova Italia non faceva queste cose. Erano cose che si criticavano per il governo di quei maledetti Borbone! Eppure, anche questa volta, ne parlava un inglese nella Camera dei Lord.
Sentite la considerazione del corrispondente, che fa rilevare quanto grave fosse il problema a opera di chi aveva promesso la libertà:
“Ora si sa che degli otto milioni di abitanti del regno appena un venticinque mila parteciparono alle elezioni dei Deputati, e così manifestarono la loro adesione agli usurpatori. Ecco pertanto carcerati sedici mila cittadini (per non parlare dei molti più tenuti in prigione nelle Province), perché avversi alla volontà d’altri venticinque mila! Il peggio si è che questi infelici son tenuti i mesi e gli anni a marcire nelle segrete, senza che pur si metta mano al loro processo o se anche è avviato un regolare giudizio si venga alla sentenza”.
A conferma di tutto questo vi è una lettera del borbonico conte De Christen, che scrive dalle carceri di Santa Maria Apparente, in Napoli:
“Sono ormai otto mesi che, riunito all’ex Uffiziale del già esercito napoletano, cavalier Achille Caracciolo, trovomi imprigionato ed implicato in una pretesa cospirazione, l’istruzione della quale è incominciata da dieci mesi. Volge già il quinto mese che essa ha avuto termine, non posso però ottenere di venir giudicato. Vane finora son riuscite tutte le mie richieste, inefficaci le insistenze del mio Console (ndr francese). Ad ogni 15 giorni si promette il mio giudizio nel corso della seguente quindicina. Per ben sette volte tali assicurazioni mi sono state date sulla parola di onore e per sette volte vi si è venuto meno. Si era infine stabilita la pubblica discussione pel 29 dell’or caduto mese; ma, temendo che i magistrati, imparziali, e giudicando con tutta l’assennatezza, ci avessero assoluti, si è rimandata la causa ai giurati, sui quali la consorteria può avere maggior impero; si è indefinitivamente quindi aggiornato il giudizio. Non restava altri cui rivolgermi se non al Ministro di Grazia e Giustizia: né ho tralasciato tanto praticare inviandogli domanda per mezzo del Console di Francia, domanda rimasta egualmente senza risultato di sorta. Se uno straniero appoggiato dal proprio Governo non giunge ad ottener giustizia in Napoli, dopo otto mesi d’illegale ed ingiusta prigionia, s’immagina di leggieri quel che debbano gl’indigeni soffrire, parecchi dei quali giaccion da molti mesi dimenticati in prigione (e potrei indicarne i nomi), e diversi han di gran lunga varcato l’anno di lor detenzione, senza essere stati neppure interrogati da alcun magistrato. Sfido il Governo e la polizia, da cui provengono i maggiori abusi, a volermi smentire!
Il conte de Christen”.
Chi volesse ulteriore conferma legga quanto Vincenzo Padula scrive su Il Bruzio, riguardo alle carceri e carcerati di Cosenza.
Giuseppe Abbruzzo