La vigilia di Natale ad Acri.
Descrivere cosa fosse, un tempo, la vigilia di Natale ad Acri non è cosa semplice. Si trattava del giorno più importante dell’anno, in cui erano standardizzati una serie di riti e usanze, alcune delle quali hanno resistito fino a qualche decennio fa e altre sono ancora in voga. Si iniziava di buon mattino. Il negozio di Piro (‘U Cunigliu), sito all’inizio di Via Regina Elena, cominciava a diffondere musiche natalizie, da “Tu scendi dalle stelle” ad “Adeste Fideles” e altri classici. La pescheria comunale pullulava di pesce e di acquirenti. Non tutti potevano permettersi il pesce fresco. Il baccalà era il pesce alla portata di tutti e, per questo, elemento base di non poche delle 13 pietanze d’obbligo della vigilia. Veniva preparato in umido, col pomodoro, in bianco con porro, olive e olio; impanato e fritto; col sugo per condire la pasta insieme a mollica di pane abbrustolita e noci tostate. La qualità di baccalà più amata, forse per la devozione che i calabresi hanno sempre avuto per i santi, era il baccalà cosiddetto “San Giuvanni”, il cui nome però, più prosaicamente, era Saint John, dalla zona di produzione nell’isola di Terranova in Canada. Tra i pesci, come non annoverare la razza (in dialetto raja) nella varietà cosiddetta “petrusa”, che veniva il più delle volte cucinata in gelatina. Il capitone appartiene più alla tradizione partenopea ed era, pertanto, meno diffuso nelle nostre zone. Verdure di ogni tipo, tra cui primeggiavano broccoli neri e cavolfiori in pastella, fino a raggiungere le famose tredici pietanze. Il numero tredici si rifaceva ai dodici apostoli più Gesù. Il pane merita un discorso a parte: nel mese di dicembre il pane comune era sostituito dai “natadisi”, pani cui veniva apposta una croce in pasta.
La tradizione dei fuochi era molto diffusa ad Acri: si iniziava da un mese prima a girare per le case chiedendo un pezzo di legno “ppe’ l’amori e du Bomminu”. Si faceva a gara fra i vari rioni a chi faceva il fuoco più grande, in grado di resistere fino al giorno di Natale. Al mattino presto le massaie si recavano a raccogliere la brace per scaldare la casa. E quanta solidarietà scattava verso quelle famiglie che non erano in grado, per intuibili motivi, di raggiungere le tredici pietanze.
Abbiamo voluto riproporre uno spaccato di quella che era una delle festività più sentite e descrivere come veniva vissuta prima che l’ondata consumistica annichilisse tutto nel tritacarne dei consumi spasmodici e spesso inutili. Un modo sicuramente più parco, in una dimensione prettamente familiare, con un occhio vigile e attento a chi ci stava di fronte e aveva forse problemi di non poco conto. Oggi la gioia della festa è in parte annacquata da una visione consumistica nella quale chi possiede corre e chi non ha i mezzi vive anche questo evento in solitudine e tristezza.
Massimo Conocchia