Un luogo per la storia e il contemporaneo, piuttosto che un albergo.
E così alla fine la “Montagna ha partorito un topolino!”. Apprendo dai media locali che domani, il Consiglio Comunale discute di un Capitolato per l’assegnazione del neo restaurato -con fondi pubblici- Palazzo Sprovieri con l’obbligo di realizzarvi un albergo!
Un albergo dentro un palazzo storico che mal si presta a questo tipo di attività? Un albergo ai piedi del centro storico, inaccessibile dal punto di vista automobilistico? Una residenza alberghiera concentrata, anziché pensare alla formula dell’albergo diffuso nel centro storico? Potrei seguire nell’elenco dei dubbi che tale decisione, ancora una volta frutto di scarsa partecipazione e condivisione, suona come imposta a scapito di un percorso che senza dubbio dovrebbe avere altro respiro.
E sono certo trattarsi della solita “invenzione” estemporanea, priva di qualsiasi strategia e frutto di improvvisazione, piuttosto che di un progetto di lungo respiro che sia davvero volto a ridare vita a luoghi e fiato all’economia. Non è con un albergo che si rianima il centro storico, né con una scuola o un edificio comunale, ma con progetti che integrino pubblico e privato, con attività di forte attrattività, soprattutto culturali, e non solo residenziali.
Ho scritto già, tempo fa, sulla necessità che Acri, come altri luoghi al Sud soprattutto -ricchi di memoria e storia, ma in cui è importante affermare il contemporaneo- proceda verso una radicale trasformazione del concetto di museo verso spazi multifunzionali, multidisciplinari e, aggiungo, multisensoriali e multimediali.
Ne parlo non a caso, perché da tempo, di uno spazio importante, restituito alla comunità, come il palazzo Sprovieri, incastonato nella parte bassa della Città Storica di Acri, non si sapeva cosa fare, si è brancolato nel buio, si sono dette infinite stupidaggini sul possibile uso e poi si è deciso di farne un albergo, anziché trasformarlo in spazio aperto e libero per la cultura e non solo. E prima che questa scelta si trasformi nell’ennesimo autogol per la comunità acrese, credo sia importante riflettere sulla totale mancanza, cronica, perenne di un racconto della storia di Acri, della sua “archaiologhia”, di una memoria collettiva in cui riconoscersi tutti, così come di uno sguardo proiettato verso l’oggi e il domani.
Né il Maca, né il Centro Studi Padula sono riusciti in questi anni a costituirsi come luoghi capaci di costruire questa “narrazione”, e piuttosto che affidare alla meritoria passione di un privato o singoli studiosi, la raccolta di foto d’epoca, questa, come altre attività di recupero della storia locale, dovrebbe essere un’attività pubblica fondamentale! Anche perché sono in realtà e in potenzialità disponibili una quantità incredibile di materiali, dalla città antica, dagli scavi archeologici di ricerca, agli incroci con la storia urbanistica e artistica dal 1500 in poi, nelle chiese, tra le pale d’altare, i conventi, l’abitare rurale, tutto l’Ottocento ricco di cultura, rivoluzione, ribellione, audacia e coraggio. Non solo, ma persino lo stesso Padula, Giovan Battista Falcone, Julia, il fenomeno – importante- del Brigantaggio, non hanno luoghi in cui essere riconosciuti, dentro i quali riannodare un filo rosso di continuità e identità, per immergersi nella storia, nelle radici, capire il presente e immaginare un futuro diverso.
Acri ha dilapidato ingenti risorse pubbliche nel tentativo superficiale e localistico, di costruire un racconto museale che nei fatti è fantasmagorico. Brandelli di qualcosa che nemmeno può dirsi museo sono sparsi in forma confusa in un più luoghi, scarsamente visitati e allestiti in forma dilettantesca.
Che la nuova struttura restaurata potesse ospitare, oltre che funzioni stabili di varia natura, l’associazionismo e spazi espositivi, con una significativa sezione archeologica e storica, non adeguatamente presente nella città, era -e resta- un obbligo civile. E sono state molte le sollecitazioni raccolte in tale direzione, verso l’Amministrazione, ma non ne è scaturito, come sempre, nè un dibattito culturale sull’opportunità e sul significato di destinazione del Palazzo Sprovieri, tantomeno un confronto aperto su questa come altre scelte.
Chi conosce l’esperienza recente di “motori” culturali, quali quello che potrebbe essere Palazzo Sprovieri, nei piccoli e nei grandi centri urbani, si è potuto rendere conto direttamente di quale forza rigenerativa, centrifuga e potente queste strutture siano in grado di scatenare, quali occasioni di economia diretta e indiretta possono generare; sono, in sostanza dei veri e propri acceleratori del metabolismo urbano. Perché mai tutto questo, come altre scelte simili, non rientra invece nell’immaginare una città di Acri diversa da questa stucchevole, povera “narrazione” collettiva che ci viene imposta? Perché queste scelte, tra le cose da programmarsi, anche attraverso la nuova pianificazione urbanistica che si prospetta (ancora libro dei sogni!), non possano rientrare nella previsione di un sistema complesso di spazi per celebrare memoria e contemporaneo? Perché Acri non può diventare di nuovo polo attrattivo per altre attività piuttosto che per sole quelle in via di declino? Perché giocare sempre al ribasso? Perché accontentarsi? Io, noi, tanti come me e noi non ci stiamo, non vogliamo arrenderci all’oblio di Acri, del Sud, e sappiamo che conoscere la nostra storia è fondamentale nel riconoscerci come cittadini e popolo, così come altrettanto lo è sperimentarci quali donne e uomini proiettati al futuro, partendo dal presente.
Custodire la tradizione significa “coltivare il fuoco e non adorare le ceneri” diceva il grande Gustav Mahler, proiettare Acri verso il futuro prossimo migliore, significa indirizzarvi anche la sua forma urbana, la sua cultura, la sua economia. Quale migliore attivatore di processi che non un Centro per la storia, l’arte, le discipline contemporanee, l’associazionismo, le comunità creative, a Palazzo Sprovieri, che dia inizio alla tendenza positiva a cascata e arresti il declino!
Pino Scaglione
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