Come eravamo: Via Padula.

Via Padula è stata, per tempo, il centro della vita produttiva e artigianale di Acri; una sorta di lunga filiera economica, che iniziava dalla “Petràra” e terminava nell’invaso di Piazza dei frutti, di cui abbiamo già scritto. Se quest’ultima era il centro della commercializzazione agro-alimentare, via Padula era il motore economico e commerciale in senso più generale. Era la sede dei servizi essenziali, dalla “Cassa Mutua”, situata nell’adiacente Via Julia, alla “Cassa di risparmio”, al centralino telefonico pubblico, etc. Era, soprattutto, il centro delle attività artigianali, le più varie e composite. S’iniziava con rivendite di sali e tabacchi, macellerie, locali adibiti alla mescita di vino, lavanderie, sartorie artigianali, due fabbri. Subito dopo la biforcazione con Via Julia, procedendo verso Piazza dei frutti, si potevano incontrare drogherie, mercerie varie, negozi di abbigliamento, calzolai. C’erano botteghe di artigiani di rara perizia: penso a un signore (Algieri), che faceva barili per il vino e altre derrate, oltre a vari altri contenitori, rigorosamente secondo il sistema di unità di misura del Regno delle Due Sicilie. Si poteva trovare il tomolo (circa 70 Kgr); il “menzullo” (mezzo tomolo), il “quarto” e lo “stuppiello” (un ottavo di tomolo). C’era il negozio che vendeva i prodotti in creta della vicina Bisignano, come orciuoli, “Ciarriglie” e vari altri contenitori per l’acqua. Dal Bar Centrale “Crozza donga”, cominciava una lunga serie di negozi, i cui proprietari avevano tutti, o quasi, curiosamente soprannomi di animali, una sorta di giardino zoologico umanizzato, che conferiva al luogo una particolarità anche semantica. Si poteva trovare: Leone, u’ Cunigliu; Marbizzu; u’ Cavallu e, procedendo verso il “Monumento”, c’era u’ Pudiciu. Andando in giù verso il Purgatorio, c’era u’ Riepudu. Prima di Piazza Vittorio Emanuele (U’ Monumento, appunto), c’era, in un sottoportico, il negozio dell’artigiano per antonomasia: “U’ Scuppettàru”, nome d’arte del Maestro Francesco Rizzuto, capace di fabbricare e riparare fucili e armi varie. Ma Mastro Ciccio era molto più di questo: nell’epoca antecedente alla meccanicizzazione, era capace di costruire serrature e riprodurre manualmente chiavi, riparare orologi di ogni epoca e con vari meccanismi.
Giunti in piazza Vittorio Emanuele, a sinistra, c’era il punto di ritrovo più noto: il bar Meringolo, sicuramente il più famoso e fornito Bar di Acri. All’interno c’era una sala giochi e un biliardo e dal balcone del piano superiore sfoderavano le loro capacità dialettiche i vari oratori nei comizi elettorali, all’epoca molto seguiti.
Dopo questa rapida carrellata, invitiamo i nostri lettori a chiudere gli occhi, provare a immaginare quanto descritto e fare un parallelismo con l’attuale via Padula. Bruscamente, saremmo costretti a misurare quale crudele distanza intercorra tra quanto descritto e la drammaticità del quadro attuale. Via Padula di oggi è un deserto: molti i negozi chiusi e le attività dismesse. Di artigiani neanche l’ombra. Le attività commerciali ridotte al lumicino. Gli uffici chiusi. Via Padula di un tempo era percorsa da gente che aveva forse minori entrate di oggi. Perché, dunque, questo epilogo? Le ragioni sono molteplici, la principale risiede, forse, nel fatto che fino agli anni ’70 la gente si spostava poco per fare compere. Le massificazione dei mezzi di comunicazione ha portato molti a muoversi verso il capoluogo per acquisti, specie i giovani. Gli artigiani soso stati schiacciati sotto il peso di costi di gestione e balzelli vari, che hanno reso difficile proseguire. Il diritto allo studio e l’apertura dell’Università a Cosenza, nei primi anni Settanta del secolo scorso, ha permesso a chi non aveva i mezzi per andare a studiare fuori di accedere alla formazione superiore: il risultato è stato un minor accesso alla formazione professionale, grazie, appunto, alla possibilità di fare l’università in loco. Queste alcune delle cause del fenomeno. Le conseguenze sono, purtroppo, un progressivo impoverimento, non solo materiale, della nostra realtà.
Massimo Conocchia

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