La crisi di rapporto tra governanti e governati produce disordini e conflitti.

Stiamo assistendo negli ultimi mesi a una molteplicità di conflitti sociali in ogni parte del mondo, dai gilet gialli in Francia, al Cile, all’Uruguay e altri Paesi dell’America Latina, a Hong Kong, ad alcune aree del Medio Oriente, al Regno Unito, e potremmo continuare. La novità, in molti casi, è che a scendere in piazza non sono più – o per lo meno non tanto – i ceti operai ma, il più delle volte, il ceto medio, quella classe di mezzo, fatta di impiegati, professionisti, che hanno deciso di usare la piazza in tutte le sue espressioni, anche le più estreme, per manifestare un disagio non più tollerabile.  Sul fenomeno tanto è stato scritto ma assai poco sulle reali dinamiche e sulle cause.

Alla base di tutto c’è una crasi profonda tra governanti e governati. Chi gestisce il potere non gode più della fiducia dei cittadini. Fino a qualche anno fa questo disagio non trovava altre forme se non quelle del nichilismo, della rinuncia dei propri diritti, a cominciare da quello basilare: il voto. L’astensionismo crescente si è rivelato una misura non sufficiente a fare capire il messaggio ai politici, che hanno continuato nella  strada pericolosa della difesa della casta, senza preoccuparsi di null’altro. Ecco quindi che il ceto medio, sotto la pressione di misure sempre più impopolari e oppressive, ha deciso di passare al contro attacco scendendo in piazza con veemenza.

La fiducia nei partiti è crollata ovunque nel mondo e con essa è venuta meno la delega che il cittadino aveva concesso ai propri rappresentanti. La corruzione dilagante, i privilegi della casta, la crisi economica incalzante  hanno creato un mix per cui il cittadino non si sente più rappresentato, anzi rivolge la propria rabbia nei confronti di chi ha tradito quel patto fiduciario con scandali, interesse privato e tant’altro.

Una classe dirigente non è legittimata a governare soltanto perché ha avuto la maggioranza, ma ha bisogno di fonti continue di sostegno. Ciò che è entrato in crisi è il concetto stesso di democrazia rappresentativa, laddove i rappresentanti non godono più della fiducia di chi li ha nominati.

In Italia, in tempi recenti, stiamo assistendo a una progressiva degenerazione del quadro politico con forze che decidono, unilateralmente e senza preavviso, di far cadere un governo di cui facevano parte, per mero calcolo di bottega. Altri leader, dopo avere condotto un partito dal 40 al 18%, non trovando più spazio e visibilità in quella formazione, decidono per una frettolosa scissione. Tutto legittimo, ovviamente, salvo la clamorosa marcia indietro sulla legge elettorale. Il senatore Matteo Renzi, dopo avere partorito una pessima legge elettorale maggioritaria, quando era a capo di un partito del 40%, invoca, oggi, che viene accreditato del 3%, un sistema proporzionale. La fortuna di molti rappresentanti è che l’Italia non è la Francia e il Belpaese è, in generale, poco incline alle proteste di piazza.

Un libro molto istruttivo – e ancora oggi attuale – è “Il Principe” di Machiavelli. In quel testo, scritto oltre cinquecento anni fa, sono descritte finemente vizi e virtù dei governanti. “Un principe – scrive Machiavelli nel cap. 9 – deve avere il popolo amico, altrimenti nelle avversità non può salvarsi”. L’intero capitolo 21 è, poi, dedicato a “Come il principe può farsi stimare”. Negli ultimi decenni, complice un sistema elettorale che ha tolto ai cittadini persino il diritto di scegliersi i rappresentanti, è venuto meno il rapporto tra elettore ed eletto e quest’ultimo è divenuto una pedina nelle mani delle segreterie dei partiti, per nulla preoccupato del giudizio dei propri elettori. Un sistema di privilegi mantenuto e perpetrato ha finito poi per accentuare il distacco.

Alle nostre latitudini, poi, apprendiamo di manovre, in vista delle prossime regionali, nelle quali qualche cariatide in procinto di riciclaggio si appresterebbe a formare delle liste alternative al partito di provenienza, al solo scopo di determinarne la  sconfitta.

Questi e altri inquietanti aspetti ci inducono a non intravvedere una via d’uscita per una situazione che rischia di divenire esplosiva.

Massimo Conocchia 

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