1864 – Accadeva ad Acri e…
Ne Il Bruzio troviamo notizie di fatti accaduti in Acri.
Nell’aprile 1864 si legge:
“Sull’ora 23 e mezzo del dì 6 di questo mese, la squadriglia di Acri comandata da Raffaele Viteritti uccideva a poca distanza dal paese presso il fiume Moccone il brigante Giovanni de Franco nativo di Celico. Il brigante era armato di un due colpi, d’un revolver e d’una lunga coltella; si trovava lì di passaggio, perché brigante in origine, poi parte della squadriglia di Acri se n’era allontanato per unirsi ai suoi amici Palma ed Acri, o per rannodare una novella compagnia. Il Mandamento di Acri è nell’obbligo di lavarsi dal viso la macchia vergognosa che gl’impresse nello anno scorso l’audacia incredibile di Monaco, e siamo sicuri che lo farà, perché a quella squadriglia non manca né coraggio né buon volere”.
Precisiamo, perché non tutti conoscono vocaboli, ora caduti in disuso e persone citate.
Cos’era la lunga coltella? Ovviamente non era un coltello, ma era come una daga usata dai soldati romani. A volte le coltelle avevano la parte della costa della lama arabescata e l’impugnatura d’argento.
Acri doveva “lavarsi il viso” è italianizzazione dell’espressione dialettale, che sta per cancellare l’onta. Il 1863, Pietro Monaco e la sua banda avevano sequestrato vari possidenti ed ecclesiastici acritani, in località Pombio. Il sequestro fruttò alla banda un’ingente somma. Dei sequestrati unico giustiziato fu Michele Spezzano, perché aveva riconosciuto Pietro Maria De Luca informatore e tramite della banda in questione.
Giovanni De Franco si era unito alla banda di Domenico Strafaci Palma. Quest’ultimo mantenne in scacco l’esercito italiano fino al 1870. Malgrado infiltrati nella sua banda, non si riuscì a farlo fuori. Fu preso solo per la complicità del compare Librandi, che gli recise la testa, mentre gli radeva la barba.
A proposito del “brigante” Acri, il cui nome di battesimo era Vincenzo, Padula riporta su Il Bruzio, in aprile 1864, una delle sue “prodezze”:
“Il Brigante Acri erra solitario e senza compagni, ed apparisce in tutti i punti, sfidando i suoi persecutori. Tra questi è Rosanova e il costui fratello. Acri il giorno dell’Assunta entra nel suo paese di Celico, e si appiatta dietro la siepe d’un orto rimpetto alla casa di Rosanova. Sul terrazzino dell’uscio ad un ora di notte la moglie di Rosanova e il cognato s’intrattenevano godendo delle luminarie che si facevano in quel giorno festivo. Acri tira loro due colpi: le palle diedero sul muro, e rimbalzando offesero lievemente la donna. Il paese fu tutto e subito in armi, ma il brigante si era già allontanato”.
E, in agosto dello stesso anno, Padula ci informa sul suddetto:
“E il brigante Acri? E il brigante Acri non contento alle vacche scannate ed ai casini incendiati al Labonia, assaltò la cascina del signor Arnedos di Motta Rovito; si prese quanti caciocavalli era in forza di potere trasportare sulle spalle, e gli altri volle che i vaccari stessi facessero a pezzi e buttassero via. Siamo ai tempi di Alarico; si ama la distruzione per la distruzione, e noi ripetiamo al Ministero: Se volete distrutti i Briganti, allargate i poteri alle nostre Autorità”.
Chi volesse venire a conoscenza di cronache degli anni 1864/65 non ha che da scorrere le colonne de Il Bruzio.
Giuseppe Abbruzzo