Il proclama di Rimini.

Il Proclama di Rimini si cita nelle nostre scuole, ma come per tant’ altro non se ne conosce il contenuto.

Dopo l’Unità d’Italia, come era successo sotto i Borbone, si aveva interesse a non far conoscere quel Proclama, per i principi che vi erano contenuti. Sia nell’un caso che nell’altro si aveva paura del pressante pericolo della venuta di Lucien Murat, figlio di Gioacchino, che rivendicava il regno di Napoli, nel quale quest’ultimo era stato re dal 1809 al 1815.

Lucien aveva in Italia molti seguaci, che avevano coniato, perfino, monete con la dicitura: Lucien Murat roi de Naples (Luciano Murat re di Napoli). Il pericolo murattista era temuto dai liberali, che si battevano per l’Unità d’Italia e, in quel movimento vi vedevano l’ingerenza d’uno straniero.

Ritorniamo al Proclama. È incerto l’autore. Cesare Cantù sostiene che sia opera del cosentino Francesco Saverio Salfi, insegnante di Storia all’Università di Napoli; altri l’attribuiscono a Pellegrino Rossi. È certo, comunque, che la stesura fu supervisionata da Giuseppe Zurlo.

Riportiamo il Proclama, così ognuno potrà fare le sue riflessioni. Quello che, fra tutto, attira l’attenzione è l’idea di Unità d’Italia opportunisticamente sventolata.

“                                                     Italiani!

L’ora è venuta che debbono compiersi gli alti vostri destini. La provvidenza vi chiama infine ad essere una nazione indipendente. Dall’Alpi allo stretto di Scilla odasi un grido solo «L’Indipendenza d’Italia!». Ed a qual titolo popoli stranieri pretendono togliervi questa indipendenza, primo diritto, e primo bene d’ogni popolo? A qual titolo signoreggiano essi le vostre più belle contrade? A qual titolo signoreggiano essi le vostre più belle contrade? A qual titolo s’appropriano le vostre ricchezze per trasportarle in regioni ove non nacquero? A qual titolo finalmente vi strappano i figli, destinandogli a servire, a languire, a morire lungi dalle tombe degli avi?

Invano adunque natura levò per voi le barriere delle Alpi? Vi cinse invano di barriere più insormontabili ancora la differenza dei linguaggi e dei costumi, l’invincibile antipatia de’ caratteri? No, no: sgombri dal suolo italico ogni dominio straniero! Padroni una volta del mondo, espiaste questa gloria perigliosa con venti secoli d’oppressioni e di stragi. Sia oggi vostra gloria di non avere più padroni. Ogni nazione deve contenersi nei limiti che le die’ natura. Mari e monti inaccessibili, ecco i limiti vostri. Non aspirate mai ad oltrepassarli, ma respingete lo straniero che li ha violati, se non si affretta di tornare ne’ suoi. Ottantamila italiani degli Stati di Napoli marciano comandati dal loro re, e giurarono di non domandare riposo, se non dopo la liberazione d’Italia. È già provato che sanno essi mantenere quanto giurarono. Italiani delle altre contrade, secondate il magnanimo disegno! Torni all’armi deposte chi le usò tra voi, e si addestri ad usarle la gioventù inesperta.

Sorga in sì nobile sforzo chi ha cuore ingenuo, e secondando una libera voce parli in nome della patria ad ogni petto veramente italiano. Tutta, insomma, si spieghi ed in tutte le forme l’energia nazionale. Trattasi di decidere se l’Italia dovrà essere libera, o piegare ancora per secoli la fronte umiliata al servaggio.

La lotta sia decisiva: e ben vedremo assicurata lungamente la prosperità d’una patria bella, che, lacera ancora ed insanguinata, eccita tante gare straniere. Gli uomini illuminati d’ogni contrada, le nazioni intere degne d’un governo liberale, i sovrani che si distinguono per grandezza di carattere godranno della vostra intrapresa, ed applaudiranno al vostro trionfo. Potrebbe ella non applaudirvi l’Inghilterra, quel modello di reggimento costituzionale, quel popolo libero, che si reca a gloria di combattere, e di profondere i suoi tesori per l’indipendenza delle nazioni?

Italiani! Voi foste lunga stagione sorpresi di chiamarci invano: voi ci tacciaste dorse ancora d’inazione, allorché i vostri voti ci suonarono d’ogni intorno. Ma il tempo opportuno non era per anco venuto, non per anche aveva io fatto prova della perfidia de’ vostri nemici: e fu d’uopo che l’esperienza smentisse le bugiarde promesse di cui v’eran sì prodighi i vostri antiche dominatori nel riapparire fra voi.

Sperienza pronta e fatale! Ne appello a voi, bravi ed infelici Italiani di Milano, di Bologna, di Torino, di Venezia, di Brescia, di Modena, di Reggio, e di altrettante illustri ed oppresse regioni. Quanti prodi guerrieri e patriotti virtuosi svelti al paese natio! Quanti gementi guerrieri e patriotti virtuosi svelti dal paese natio! Quanti gementi tra ceppi! Quante vittime ed estorsioni, ed umiliazioni inaudite! Italiani! Riparo a tanti mali; stringetevi in salda unione, ed un governo di vostra scelta, una rappresentanza veramente nazionale, una Costituzione degna del secolo e di voi, garantiscano la vostra libertà e proprietà interna, tostoché il vostro coraggio avrà garantita la vostra indipendenza.

Io chiamo intorno a me tutti i bravi per combattere. Io chiamo del pari quanti hanno profondamente meditato sugli interessi della loro patria, affine di preparare e disporre la Costituzione e le leggi che reggano oggimai la felice Italia, la indipendente Italia.

Rimini, 30 marzo 1815. Gioacchino Napoleone”.

Ricordiamo che Murat si era mosso per combattere gli Austriaci. La chiamata a raccolta fallì. Il Proclama, si citò, si cita e non se ne conosce il contenuto se non da pochi.

Allora? Si legga e si mediti!

Giuseppe Abbruzzo

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