L’ITALIA SFASCIUME PENDULO… E QUEI MALEDETTI BORBONE

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La Calabria sfasciume pendulo sul mare, secondo la definizione di Giustino Fortunato, ha ceduto il posto a più ampio spettro: l’Italia sfasciume pendulo sul mare. I cosiddetti disastri che colpiscono, a ogni piè sospinto la penisola dimostrano come sia vero quanto suddetto.

La stoltezza umana e la politica cieca hanno “uguagliato” l’Italia nell’aspetto più deteriore!

Chi ha causato tanto? I fenomeni atmosferici o la stoltezza umana?

Ognuno dirà la sua. È da tenere presente, però, che da decenni e decenni non si pensa al territorio se non per sciacquarsi la bocca.

Più volte siamo intervenuti su questo problema su “Confronto” e su altri media, formulando proposte che nessuno, dico nessuno, ha voluto prendere in considerazione.

Ora ritorniamo sull’argomento per far rilevare cosa facevano in merito ai terreni in pendio quei “maledetti Borbone”, non perché ne siamo sostenitori, ché continuiamo a ripetere siamo repubblicani. La Storia, però, non tiene conto di Casate e, per esser tale, deve riconoscere i meriti dove ve ne siano.

Vediamo allora quanto si legiferò nel regno delle Due Sicilie.

Con reale rescritto del 23 agosto 1828 si disponeva che i terreni dai quali provengono danni alle proprietà ”soggiacenti qualunque sieno, debbono considerarsi negli stati delle terre in pendio”.

Una circolare del 25 febbraio 1829 disponeva che le terre in pendio dissodate nel corso del 1815 “debbono restituirsi salde e rimboscarsi”.

Nel 28 ottobre successivo, con sovrano rescritto, si proibiva la coltura della “terra in pendio sovrastante alle pubbliche strade”.

La circolare del 27 marzo 1830 reca disposizioni per le ordinanze degli intendenti, per la coltura delle terre in pendio “riparate e per lo rinsaldimento quelle non riparate”.

Con circolare del 3 dicembre 1831 si davano disposizioni “per la denunzia delle terre in pendio riparate e non riparate dissodate prima del 1815”.

Il 22 ottobre 1833 un reale rescritto prescriveva che le disposizioni degli artt. 16, 20 e 21, della legge 21 agosto 1826, riguardanti le terre in pendio, “per dissodazioni di terreni relativamente ai danni di terreni sottoposti s’intendono ancora pei terreni contigui in qualunque posizione questi si trovino”.

Potremmo continuare, ma basti quanto riportato.

La considerazione è: – Cosa si fece riguardo al problema dopo l’Unità d’Italia? -. La risposta l’abbiamo sotto gli occhi.

Chi non ha dovuto fare i conti con strade diventate autentici valloni, che, in caso di grosse piogge portano ogni ben di Dio? I proprietari dei terreni, infatti, fanno confluire le acque sulle pubbliche vie, con grave pericolo di chi è costretto a percorrerle.

Chi si è occupato, da decenni e decenni del problema? Come mai non si pensa di pulire i collettori comunali e ordinare ai proprietari dei fondi di collegarvisi invece di far riversare le acque sulle vie? Chi deve sorvegliare sui tagli di alberi nei terreni in pendio? Ecc. ecc.

Per il silenzio su tutto questo e altro, non esclusa la spregiudicatezza di cittadini, l’Italia intera è diventato “sfasciume pendulo”, superando di molto la Calabria, che lo era per sua natura.

Giuseppe Abbruzzo

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Una risposta

  1. Franca Azzarelli ha detto:

    Caro Professore Abbruzzo, da decenni e decenni vige la legge dell’intrallazzo ed è questa amara constatazione che fa vedere positivo, anche a dei convinti repubblicani, ciò che non era assolutamente da considerare, proprio perché fatto da quei “Maledetti Borboni”. Grazie! Franca Azzarelli

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