L’inganno e la fine dei Bandiera e compagni
Altre volte ci siamo occupati dei Bandiera e compagni; di Boccheciampe e della lettera invita a Domenico Mauro, nella quale negava il suo tradimento; della presentazione di documenti affidati a un prete da Attilio Bandiera.
Ritorniamo sull’argomento, per evidenziare il terribile inganno, nel quale, sembra, siano caduti quei rivoltosi.
La rivolta cosentina del 15 marzo 1844, finita tragicamente, portò a morte cinque dei partecipanti, anzi quattro, perché Raho morì in carcere prima dell’esecuzione.
La notizia di quei movimenti volò dappertutto e fu data, con ampio spazio dai giornali: National, Journal des Debats, Le Siecle, Democratie Pacific, Times, Mediterraneo.
Romeo Pavone scrive di quella eco: “fu tanto esagerata la situazione; che fu creduto, o meglio, fu fatto credere agli esuli sparsi in Francia ed in Grecia che tutte le Calabrie erano insorte; i suoi boschi e le sue rupi gremite di gente armata; l’esercito regio entrato in campagna per attaccar gl’insorti; e si nominavano i capi; si dicevano le contrade ove erano accampate le forze rivoluzionarie!
Insomma le più infondate notizie, le più grosse menzogne venivano sparse, ed i cuori dei patriotti fuorusciti si agitavano; gl’impazienti, allegri, ne fremevano. Si diceva che tal sommossa era celatamente aiutata dal governo di Napoli e che l’esercito aveva ordine di non combatterla, per avere un motivo ragionevole onde addivenire a concessioni costituzionali”.
Abbiamo riportato tutto questo, perché scritto da un contemporaneo e a conoscenza di fatti e documenti.
Nella supplica diretta alla IIa Commissione Militare sedente in Cosenza, firmata da: Attilio Bandiera, Emilio Bandiera, Nicola Ricciotti e Domenico Moro, si legge, infatti:
“Per l’ultima volta vi ricordiamo o signori:
Primo – che siamo stati ingannati, crudelmente ingannati. Verità di cui avreste potuto convincervi, se aveste accondisceso ad interrogare Giornali pubblici, ed uomini onesti, che non abitano un’altro (sic) emisfero”.
Sconcerta, alquanto il secondo punto:
“Secondo – Che nostra intenzione era quella di venire a prestare l’opera nostra ed a spargere il nostro sangue per Ferdinando 2° che credevamo avesse slanciato uno sguardo d’aquila sulla universa Italia”.
Il punto seguente dimostra che di fronte alla morte si cerca riparo, non la si affronta a cuor leggero e con piglio sprezzante, come si ripete:
“4 – Che avvertiti poco dopo sbarcati d’essere stati delusi, era nostra intenzione attraversare la Sila per cercare uno scampo, inosservati sull’opposta riva di Ponente”.
Aggiungiamo una curiosità. I “rivoltosi” portavano una bandiera tricolore, che fu esposta in Cosenza in una mostra commemorativa, per il centenario del 1848. Su di essa, nel citato documento si legge, al punto 8 della memoria più su citata: “Che la bandiera tricolore non è che una conseguenza della nostra risoluzione; supponevamo essere quella l’insegna adottata dai commossi sudditi del Re, e dall’istessa Maestà Sua (ndr Ferdinando II°) segretamente sancita e favorita”.
Ricordiamo che la bandiera borbonica aveva colore bianco.
La storia, si sa, è manipolata, per rispondere a certe “esigenze” e lo è stata anche in questo caso.
Giuseppe Abbruzzo