La fine di Ippolito Nievo presenta aspetti oscuri.
Come è noto a tanti, la fine di Ippolito Nievo è avvolta nel mistero.
Uno dei tanti misteri italiani insoluti.
Nievo era dei Mille di Garibaldi, con l’incarico di amministratore. Accusato di illecito amministrativo si recò in Sicilia, per dimostrare la sua innocenza e far rilevare, attraverso ricevute, chi avesse incassato i soldi, dei quali gli si chiedeva conto.
Raccolta la documentazione necessaria il 4 marzo 1861 s’imbarcò sull’Ercole.
Il vapore naufragò. Nessuno si salvò.
Ricerche successive del relitto furono infruttuose.
Sorsero e sorgono interrogativi: il naufragio fu una delle tante fatalità? C’era qualcuno o più di uno che aveva/avevano interesse, perché la documentazione raccolta non giungesse mai nelle aule parlamentari?
Interrogativi sconcertanti, che restano tali per l’impossibilità di poter fornire risposta.
Pompeo Gherardo Molmenti che scrive Ippolito Nievo / cenni critico-biografici, nel 1869, appena 8 anni dopo quei fatti, non ha dubbi, evidentemente, sull’accidentalità del naufragio o evita d’impelagarsi in sospetti?! “Ippolito Nievo moriva sul Tirreno, su quel mare a cui avea sciolti alcuni versi mestissimi che rivelano intera la squisita e profonda bellezza del suo cuore e del suo ingegno. E forse era il presagio di quelle anime singolari che, secondo l’antica leggenda hanno la rivelazione del futuro. Non una croce, non una pietra; e forse l’ultimo suo pensiero era rivolto all’Italia, l’ultimo suo addio alla patria, per cui egli avea tanto sacrificato. E morì in un tempo in cui tutto era speranza, morì, quando poteva, se avesse vissuto, piangere più facilmente sulle sventure d’Italia che giovarle”. Fa solo retorica!
Pietro Bonini, che il 23 agosto 1868, 7 anni dopo quella tragica fine, commemora Nievo, con una conferenza tenuta nel palazzo Bartolini di Udine, sulla tragica fine è, come il su riportato, evasivo: “Nel giorno 4 marzo 1861, non rimovendolo dal fatale proposito né le preghiere degli amici, né il fisico illanguidito, né il tempo minaccioso, né lo sdruscito aspetto del vapore l’Ercole, move su questo legno dalla città maggiore della Sicilia diretto a Napoli e Torino. La fine spaventosa dell’Ercole è nota – né vo’ inasprire una piaga che sempre sanguina. Tutti i passeggieri vittime del naufragio – del legno nessuna reliquia – l’Astro tuttora sulla curva ascendente si ristà dal viaggio e rovina nell’abisso”.
Retorica!
Stanislao Nievo, pronipote di Ippolito, però, vuole andare a fondo e cercare la verità su quel naufragio. Sostiene che la vecchia carretta, come dicono l’Ercole, che trasportava sei casse di documenti raccolti, che avrebbero messo nei guai qualche insospettabile di turno, affondò per una esplosione. L’Ercole colò a picco, perciò, per un attentato ben pianificato. Stanislao Nievo lo sostiene con ricerche minuziose, che rende note nel 1961, un secolo dopo. Si propone la ricerca del relitto e coinvolge Jacques Piccard, che lo avvista, a 240 m. di profondità tra Punta Campanella e le Bocche di Capri. In fase di recupero, però, il relitto si disintegra.
Cesare Maria Glori, nel 2012, pubblica un libro che, dal titolo, lascia trasparire chiaramente la sua tesi: La tragica morte di Ippolito Nievo. Il naufragio doloso del piroscafo “Ercole”.
Tutto, però, continua a essere avvolto nel mistero. Un mistero che dura da 157 anni.
La memoria di quale attentatore bisogna salvare? Dev’essere, per logica, una delle personalità “illustri”. Quale?
Giuseppe Abbruzzo