Il Codex Purpureus di Rossano, dopo il Pathirion
“Che meraviglia!” e Giampaolo confermava: “Si, è meraviglioso. Da qui, poi, si vede benissimo la sovrapposizione sedimentaria”. “Però che peccato quell’immondizia”, riprendeva Gilberto. “Forse può essere un accumulo datato”, dicevo io. “No, no … è recente, si vede bene che è recente!” riprendeva Gilberto. “Affrettiamoci, adesso, e speriamo che sia ancora aperto il Museo Diocesano!”. E, cosi, dopo uno sguardo fugace al panorama che Rossano offre a chi proviene dalla Sila, ci avviammo per trovare la Cattedrale di Maria Santissima Achiropita, raggiunta facilmente attraversando la galleria che immette nel centro storico della città.
“Stiamo chiudendo, potete entrare nel pomeriggio, dopo le ore 16:00, o domattina” ci avverte la guida. “Ma, domani – precisa Valerio – rientriamo: chi a Modena e chi a S. Giovanni in Persiceto. Non è proprio possibile farla ora? Ci fermiamo quanto basta per vedere solo il Codice Purpureo”. “Veloce, allora!” e la guida ci introduce, a passo svelto, nella sala espositiva più importante. Al centro di questa sala giaceva illuminata la teca con il Codex Purpureus: un librone aperto su una pagina miniata. Sul muro frontale c’era uno grosso monitor, che cambiava immagine al semplice tocco del dito.
“Di Codex Purpureus del V-VI sec. – ci spiegava la guida – ne esistono altri quattro: a Vienna, a Parigi, a San Pietroburgo e a Tirana. Quello di Rossano è il più importante ed è composto da 188 fogli, pari a 376 pagine, con 15 miniature, che conservano meglio degli altri i colori originali. Il Codex Purpureus Rossanensis è considerato uno dei più preziosi codici purpurei miniati orientali oggi esistenti nel mondo. Per le sue caratteristiche paleografiche e per i caratteri delle miniature, gli studiosi hanno avvicinato il Codex ad un gruppo di sontuosi codici simili, scritti in greco, collocati in ambiente siriaco-antiocheno. Ogni tre mesi, viene cambiata la pagina da esporre al pubblico”.
E ci avviammo a percorrere le rimanenti sale, che riservavano altri tesori fra paramenti religiosi, dipinti, miniature più recenti e monete di epoca magnogreca.
“Che mi sa dire – rivolgendomi alla guida – sull’altra metà della pietra che, secondo la leggenda, raffigurava S. Giovanni Battista e che è stata portata qui, nel 1450, dal Santuario della Madonna delle Armi in Cerchiara di Calabria?”. “Non è qui – mi risponde prontamente la guida – si trova a Malta per volontà dei Cavalieri di Malta”. Rimanemmo quasi perplessi: la leggenda della pietra che, una volta spaccata, rivelava su una faccia l’immagine della Madonna con il Bambino (venerata a Cerchiara di Calabria) e, sull’altra, l’immagine di San Giovanni Battista si poteva verificare solo recandosi a Malta, se non si accettava per fede.
Francesco Foggia