Biagio Autieri, il Trilussa calabrese.
Ci piace dedicare l’appuntamento di questa settimana a un grande poeta dialettale, il professor Biagio Autieri. Da parte materna, apparteneva al casato “Cozza“, lo stesso a cui apparteneva il noto brigante Gaetano, del quale il professore sosteneva di possedere “‘a curtella”, la stessa con la quale il brigante aveva scuoiato vivo un “galantuomo”, reo di violenza carnale verso una fanciulla quindicenne. Ai lamenti feroci del signorotto, il Cozza replicava con la stessa, monotona espressione: “Eh, cumi si sìsudu!”.
Il professore Autieri aveva frequentato il collegio italo-albanese di San Demetrio Corone. Dopo una breve parentesi in seminario, rinunciò all’abito talare e si dedicò alla professione di maestro.
La grandezza di Autieri sta nella sua straordinaria vena satirica, inesauribile, che non risparmiava nessuno, neanche i congiunti, compreso il genero, che si trovò a occupare, nella seconda metà degli anni ‘60, la carica di sindaco di Acri. Bersaglio preferito erano i politici, grandi o piccoli che fossero, ma non solo. Era attratto anche da fenomeni di costume e da personaggi particolari, che rielaborava mirabilmente in chiave caricaturale, come gli italoamericani nella nota composizione “I Gianni”. Straordinario è anche il componimento “Nabuccodonosor”, nel quale prende di mira il senatore Francesco Spezzano, al quale era stato appena confezionato un busto: “… E ccu’ dua dittarelli, no’ vodiennu / ci ‘a misu ‘u numu chi s’ è meritatu: / F. S. c’è scrittu, e nun sapimu / si fissa è l’operaju o l’operatu. / Pecchì ‘ndaghari a veritati esatta? / Su’ fissa tutt’ ‘i dua e l’azàmu patta!”. Il senatore Spezzano, da uomo intelligente e persona colta, sorrideva divertito delle attenzioni a lui riservate dall’Autieri.
Di straordinaria bellezza è la satira “Per le elezioni del 1948”, nella quale il Comune veniva assimilato a una sorta di malato terminale, al cui capezzale accorrevano i vari politici-rimedianti dell’epoca, ciascuno con una “speciale” ricetta. In un’altra famosa composizione sogna di morire e trovarsi in paradiso. Di Acri riconosce solo mons. Francesco Maria Greco, suor Maria Teresa De Vincenti e l’allora Beato Angelo, al quale chiede notizie di tutti coloro che in vita, al suo paese, “si vattianu ‘u piettu”. Si sente rispondere che non c’è nessuno.
Autieri è stato grande anche come traduttore di Fedro, brillante e abile nel rendere in dialetto alcune espressioni delle fiabe del poeta latino.
La sua vena satirica non si spense fino alla fine. Pare che alle donne che si apprestavano, nel suo letto di morte, a scaldargli i piedi, si rivolse loro dicendo: ”mi quadiat’i piedi? Allu madati chi lli su’ difriddat’ ‘i piedi, ll’a’ piata ‘nc…u!”.
Riteniamo che, se fosse vissuto fino ai giorni nostri, la sua fama sarebbe andata oltre i confini regionali e non solo per le maggiori possibilità di diffusione delle sue opere ma, anche e soprattutto, per il materiale umano di maggiore soddisfazione.
Massimo Conocchia