Ecodistretto: decidere insieme, prima che il popolo scelga Barabba…….
Il tema ricorrente di questi giorni sulla potestà concessa ai sindaci dell’area cosentina, di individuare la sede idonea per la realizzazione di un Ecodistretto, (sono rimasti in lizza Acri e Castrovillari dopo un fuggi-fuggi generale degli altri enti locali), riporta alla discussione un eterno dilemma di matrice shakespeariana:
far vivere la comunità attraverso il consenso alla localizzazione di impianti industriali destinati a produrre lavoro e vantaggi sociali o far morire la collettività per i tanti NO detti nel corso degli anni.
Primo effetto della discussione: il posizionamento duale tra l’onda di protesta che si è levata contro l’allocazione dell’ Ecodistretto nella propria comunità e quella fascia di cittadini che ritiene la realizzazione della struttura un generatore di lavoro, con evidenti ricadute economiche, nonché un facilitatore dello sviluppo di un sistema imprenditoriale nuovo.
Domanda: potrebbe esistere una terza via che possa portare un risultato utile alla collettività, uscendo da queste forme di manicheismo esasperato, dal dualismo bene e male, bianco e rosso, dalla dicotomia SI e NO?
A mio parere la complessità dei problemi da trattare, deve indurre tutti i soggetti del territorio a ricostruire quel contesto inclusivo supportato da spinte centripete ( un tempo si diceva “essere una pigna” contro ingerenze esterne) a tutela degli interessi della comunità.
Per fare questo è necessario richiedere un impegno fattivo e credibile alla amministrazione comunale al fine di programmare un confronto così strutturato: 1) assicurare il flusso circolare di informazioni che consenta ai partecipanti di comprendere i reali interessi e i veri obiettivi di ciascuna parte; 2) ciascuno dei soggetti coinvolti abbia un proprio tempo ed un proprio spazio di parola; 3) accentuare l’enfasi sui punti in comune e “traghettare” questi ultimi alla ricerca di nuove soluzioni, più creative, che inizialmente i singoli portatori di interessi (stakeholder) o visioni diverse, non riuscivano a intravedere.
Sarebbe, invece, opera non utile alla causa sentire lepopolazioni interessate e confutare le innumerevoli rimostranze con argomenti tecnici solitamente volti primariamente a “catechizzare” l’uditorio per poi indurre gli stessi interlocutori a pronunciarsi per il SI o per il NO ad un eventuale consulto referendario.
Di contro, una iniziativa di mediazione creerebbe un valore politico capace di attivare un processo negoziale costruttivo, attraverso il quale si potrebbe pervenire ad una soluzione che supera le contrapposte posizioni (SI/NO), in quanto fondata su un’area comune di interessi (LA COMUNITA’) voluta e condivisa da entrambe le parti conflittuali.
In altre parole non è tempo di lacerazioni sociali, di rigide contrapposizioni tra i governanti ed i rappresentanti delle ragioni del NO, soprattutto dopo una lunga notte di crisi economica.
Questo è il momento storico di risvegliare dal torpore le intelligenze vive della comunità che un tempo utilizzavano la loro inossidabile persuasione morale (moral suasion) affinchè si adottassero decisioni a tuteladello sviluppo sociale ed economico del proprio paese,in grado di soddisfare i bisogni delle generazioni presenti senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare i propri (un principio peraltro affermato dalla Commissione Mondiale ONU per lo Sviluppo e l’Ambiente).
Va da sé che una eventuale inettitudine degli amministratori ad aprire un tavolo con il quale condividere la responsabilità della decisione con il cittadino-utente e non più cittadino-suddito, oggi più che mai depositario della sovranità, e che percepisce il suo diritto politico sempre più connesso all’attività amministrativa, porterà ineluttabilmente a riesumare antichi strumenti conflittuali e divisivi, (come il referendum consultivo), nella giusta convinzione che la democrazia è un sistema che si basa su un atto di fiducia nel genere umano, sulla scommessa che ognuno, secondo le sue possibilità e mediamente con buone intenzioni, si sforzerà di scegliere la soluzione migliore.
Ai sostenitori della campagna referendaria mi si permetta di far osservare che non c’è garanzia sul fatto che le decisioni collettive siano più giuste delle scelte dei singoli, perché molte volte istinto ed impreparazione dei cittadini sono due cattive consigliere.
D’altronde il primo referendum della storia fu indetto da Ponzio Pilato, e si è visto come è andata a finire. Votarono Barabba, non per i valori o gli ideali, ma per convenienza.
Francesco Tocci – Esperto in Management Pubblica Amministrazione