Qualche considerazione senza filtri sulla Resistenza

La Resistenza è stata una pagina gloriosa, i cui valori sono alla base
della nostra democrazia. Se oggi godiamo di molte libertà, lo dobbiamo
senz’altro a chi, vent’enne o poco più, ha sacrificato la propria vita
per un ideale.
Ciò premesso, vorrei svolgere alcune considerazioni, scevre da
qualsiasi pretesa, se non quella di fornire una chiave di lettura un
po’ diversa rispetto a quanto, tradizionalmente, ci è stato
tramandato. Fatto salvo il rispetto per i morti e per chi ha rischiato
la vita per la propria e l’altrui libertà, non tutto ciò che ha
riguardato i gruppi di liberazione e le brigate partigiane è, a mio
giudizio, da osannare. Nell’ambito dei gruppi che si contrapponevano
ai nazi-fascisti, c’erano, in mezzo a tante persone per bene, anche
individui ambigui, di difficile inquadramento e altri di personalità
sicuramente deprecabile.
Fino a qualche decennio fa – parallelamente a quanto avviene ancora
oggi per il processo che ha portato all’Unità d’Italia – non si poteva
criticare la Resistenza, pena l’essere tacciati di nostalgici del
fascismo. Poi è arrivato Gian Paolo Pansa con “Il sangue dei vinti” e
ha sdoganato una corrente di pensiero alternativa a quella ufficiale e
dominante. In pratica, il giornalista piemontese ha messo in evidenza,
accanto alle luci, le molte ombre e gli eccessi commessi dalle brigate
partigiane, che, se le cose fossero andate diversamente – al pari dei
briganti post unitari – sarebbero stati tramandati dai vincitori come
traditori e delinquenti.
Nel 1996, il Presidente della Camera, Luciano Violante, nel discorso
di insediamento, citò le ragioni di coloro che, anch’essi ventenni, si schierarono a combattere per la Repubblica Sociale.
Questi due episodi sono serviti a fare breccia e insinuare perlomeno
il dubbio che tutto quanto tramandato sulla Resistenza non fosse da
prendere come oro colato.
Qualche decennio prima che ci provassero le due personalità citate,
c’era stato un grande scrittore, Beppe Fenoglio, che nei suoi romanzi,
soprattutto “Una questione privata” e “I 23 giorni della città di
Alba”, aveva fornito una versione cruda e non mitizzata della
Resistenza e dei partigiani e, per questo, dovette subire un processo
di criminalizzazione e delle dure critiche. L’Unità, negli anni ‘50,
ne fece un bersaglio, attaccandolo con una feroce campagna di stampa,
cercando di stroncarne la carriera e la figura. A fine anni ‘60,
quando Fenoglio era già morto, lo stesso Pasolini lo criticò
duramente. In pratica, prima di Pansa e Violante, le critiche alla
Resistenza erano un tabù e chi vi si cimentava veniva assai spesso
criminalizzato. Uccisioni di massa, eccessi, violenze, ci furono anche
tra i partigiani. Tutto questo non scalfisce minimamente il valore
della Resistenza e i suoi principi. Da sempre avversari del settarismo
e dei dogmi, ci piace, però, sottolineare aspetti poco tramandati
nelle scuole, ma che dovrebbero, invece, fare parte del bagaglio
culturale di ogni studente.


Massimo Conocchia

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