Un po’ di antistoria: come e perché venne affossata la Calabria dopo l’Unità
Da tempo immemore, ma ancor più negli anni a noi più vicini, si sta diffondendo un atteggiamento mentale distorto nella lettura del periodo risorgimentale e di quello postunitario in particolare. In sintesi, anche da parte di autorevoli studiosi, è diffusa la convinzione che non si debba criticare il modo in cui è avvenuta l’Unità né ricordare le barbarie sabaude ai danni del Sud, pena l’essere tacciati di filoborbonismo e marchiati come nostalgici di un mondo visto, non sempre a ragione, come “la negazione di Dio in terra”. Noi, che filoborbonici non ci riteniamo, vogliamo, dati alla mano, dimostrare, però, che il processo unitario – sarebbe più giusto dire l’annessione del Sud alla monarchia savioarda – sia stato, per come è stato condotto, un pessimo affare per il Sud. Si dice questo senza nessun intento nostalgico né revisionistico, ma semplicemente citando dati epidemiologici e statistici, che stanno lì a dimostrare come le condizioni del Sud – e della Calabria in particolare – siano andate progressivamente peggiorando dopo l’Unità e per una serie precisa di ragioni.
All’indomani dell’Unità venne effettuato il primo censimento generale della popolazione italiana. In Calabria, nel 1861, furono registrati 1.140.396 abitanti, circa il 4.4% della popolazione nazionale. La provincia col maggior numero di abitanti era quella di Cosenza con 431.691 abitanti. Oltre ai tre capoluoghi di provincia, soltanto sei centri urbani superavano i 10.000 abitanti in tutta la regione e tra questi Acri. La maggior parte dei calabresi viveva in centri rurali per lo più collinari e montani. Un dato interessante, nei primi 40 anni dopo l’Unità, è quello relativo all’incremento demografico, che nelle nostra regione fu tra i più bassi (20% contro il 34% del resto del Mezzogiorno e il 29% del resto del Paese). Il basso incremento demografico ha ragioni profonde, dolorose, e soprattutto valide a spiegare le miserrime condizioni in cui la Calabria fu ridotta. Accanto all’elevata mortalità, soprattutto infantile, per malattie e indigenza, va considerata, fra i fattori causali, il notevole tasso di emigrazione transoceanica. Prima dell’Unità il fenomeno migratorio era pressoché inesistente nella nostra regione: nel 1861 il tasso di emigrazione era pari allo 0.8% della popolazione, mentre raggiunse il 2,5% nel 1901, cioè 34.437 persone, tre quarti dei quali provenienti dalla provincia di Cosenza, con un forte contingente acrese, che vide, nel periodo preso in esame, emigrare una media di oltre 500 persone l’anno. I centri rurali montani pagavano il prezzo più alto, mentre nel reggino e nel catanzarese la forte presenza di colture di agrumi e vino fece sì che queste aree potessero resistere per un lungo periodo e risentissero meno della miseria dilagante. Nelle aree montane, alle malattie come la crittogama e la pebrina che decimarono la produzione del vino e della seta, si aggiunse la scarsa propensione dei grossi proprietari alle innovazioni tecnologiche e soprattutto la politica protezionistica attuata dai vari governi all’indomani dell’Unità, che finì per colpire duramente i prodotti agricoli, soprattutto il vino e gli agrumi, fino ad allora competitivi e che non trovarono più sbocchi all’estero. Le poche industrie prima fiorenti in Calabria, come gli stabilimenti siderurgici della Mongiana e di Stilo – che davano lavoro a circa 1000 persone – col venir meno delle commesse statali, furono costretti a chiudere. A tutto questo si aggiunga l’inasprimento fiscale con la tassa sul macinato e sui consumi più elementari. La leva obbligatoria, che venne portata a 5 anni – con l’ovvia conseguenza di privare le nostre realtà delle poche forze giovani rimaste -, contribuì ulteriormente a definire un quadro desolante. La crisi del settore agricolo s’inasprì negli anni Ottanta dell’Ottocento per l’arrivo, in Europa, di forti quantità di grano americano e russo, che fece crollare il prezzo del cereale, con l’immediata conseguenza di un aumento della popolazione inattiva e disoccupata, che finì per ingrossare le fila degli emigranti nella maggior parte dei casi e, in minor misura, quelle del brigantaggio.
Una politica di forte destrutturazione economica, che finì per determinare la condanna definitiva della Calabria all’arretratezza e al sottosviluppo. Fu in questo periodo che la condanna divenne senza appello e che cominciarono ad affacciarsi i primi accenni di quel lungo dibattito che occupò intellettuali e politici nel secolo successivo e che va sotto il nome di “questione meridionale”. Tacere questi aspetti, per non rischiare di essere tacciati in maniera ridicola di essere filoborbonici, non ci è sembrato né giusto né storicamente corretto.
Di seguito una nutrita bibliografia per chi volesse, senza paraocchi, approfondire il tema.
- Raffaele Ciasca, La questione meridionale, in Mezzogiorno, Questione del, in Enciclopedia italiana, Roma 1934, Vol. XXIII, pag. 150;
- G. Pescosolido, Dal sottosviluppo alla questione meridionale, in AA..VV., Storia del Mezzogiorno, Vol. XII, p.19.;
- R. Villari, Mezzogiorno e contadini nell’età moderna, Laterza, Bari 1974;
- G. Sole, Viaggio nella Calabria Citeriore dell’800, Pagine di storia sociale, Amm.ne Provinciale Cosenza 1985;
- G. Pescosolido, Unità nazionale e sviluppo economico 1750-1913, Laterza, Roma-Bari 1998;
- A. Guarasci, Politica e società in Calabria dal Risorgimento alla Repubblica, Frama Sud, Chiaravalle, 1974.
- G. Cingari, Storia della Calabria dall’Unità ad oggi, Laterza, Roma-Bari, 1983.
Massimo Conocchia
Caro Massimo,
grazie di avermi offerto questa opportunità, infatti vorrei orgogliosamente infilarmi tra quei “Noi” che, come in condivisione scrivi, filoborbonici non siamo, ma riteniamo che il processo unitario sia stato un pessimo affare per questo Sud da sempre detentore di infinite risorse.
Il resoconto degli eventi è stato minuzioso, la bibliografia di verifica più che nutrita, non mi resta che riconoscere ed esaltare in te la figura del medico colto, del professionista eclettico, del docente dalla personalità completa, dell’essere umano, nonché cittadino, libero e senza paraocchi.
Franca carissima, ti ringrazio per le tue considerazioni e per la condivisione del mio pensiero. L’opinione di persone come te, attente, ricercatrici, amanti del vero, è per me motivo di orgoglio. Tu stessa, nel tuo ultimo libro, quello su Vincenzo Julia – che ho apprezzato moltissimo e non ne ho fatto mistero in occasione della presentazione dello stesso, – sottolineavi quanto, come lo stesso Julia e Padula riconoscevano, le condizioni del Sud, in particolare del popolo, siano andate terribilmente peggiorando dopo l’Unita’. Riconoscere questo è solo un dato storico, nessuna nostalgia, ne’ voler dire che si stava meglio quando si stava peggio. Semplicemente, dati alla mano, si riportano le condizioni del Sud dopo l’unità e come queste abbiano creato le premesse perché la Calabria diventasse quella che purtroppo oggi è sotto gli occhi di tutti. Grazie infinite per la tua costante opera di stimolo, massimo.