Che fine fece il sangue di Sant’Angelo d’Acri?

Che fine fece il sangue di S. Angelo d’Acri? Sembrarà una domanda assurda ai più, ma ha una ragion d’essere per quanto si riporterà di seguito.

Nella Vita del ven. servo di Dio p. Angelo di Acri missionario cappuccino, scritta da don Vincenzo Maria Greco nel 1754, si legge:

Non si deve qui passare sotto silenzio quanto avvenne al Sig. Principe di Bisignano (…) nel giorno stesso che passò all’altra vita il nostro Servo di Dio. Abbiam detto, che allo spuntar del giorno di venerdì 30 ottobre cessò di vivere in questa terra V. P. Angelo. Alle ore 23 del medesimo  giorno nuovamente si condusse nella Chiesa del Convento de’ cappuccini il sig. Principe, col disegno di far aprire la vena del braccio al Sacro Сadavere da un suo Chirurgo; e conservare poi quel sangue, che avrebbe tramandato, qual preziosa Reliquia. Il suo disegno, pio per altro, e devoto, riuscì vano, mentre non solamente si osservò da tutti inaridita la vena, ma dippiù indurita la carne, e congelato il Sangue. Cosa, che ricolmò di confusione, e rammarico, il menzionato Signore, e tutti gli Astanti”.

È immaginabile la delusione più su descritta, ma domenica, alla presenza di monsignor Bernardi, Vicario Generale del Vescovo di Bisignano, che “in virtù della santa obbedienza avendogli comandato, che per soddisfare alla divozione de’ Fedeli, avesse dalla ferita del salasso, tramandato sangue”. Detto questo il chirurgo praticò un nuovo salasso e uscì il sangue.

Don Greco ci informa, infine, “Buona parte di questo sangue venne dal sig. Principe di Bisignano conservato in un vaso di cristallo; ed al presente si custodisce con gelosia dall’Eccellentissima Casa”.

P. Macario Gambino da Mangone, anch’egli scrive nel 1754, riporta che terminata la sacra funzione il Principe fece trasferire “in una Capella il Venerabile Deposito, affine di ripararlo dagl’insulti divoti della promiscua moltitudine; e ben serrati i cancelli, cominciò di propria mano a dispensare i pezzetti dell’abito a coloro che giudica va meritevoli di tai favori. Non una ma più, e più volte fu rivestito, perché un abito solo non fu bastevole a sodisfare un’infinità di Popolo Colà concorso”. 

P. Macario concorda col Greco sulla reliquia del sangue ambita dal Principe inutilmente:

perché non solamente ritrovossi inaridita la vena, ma di vantaggio indurita la carne, attratti i nervi, e congelato il sangue; cosa che cagionò non picciolo stordimento, e confusione ben grande al mentovato Signore, ed a Religiosi assistenti; di sorte che alquanto afflitto fè ritorno al palazzo”.

Concorda, ancora, su mons. Berardi, vicario generale, che ordinò nuovo salasso. Era domenica. Il cadavere, prima rigido, sembrava “vivente, non un Cadavere. Ciò fatto, a nome dì Dio lo punse (ndr il chirurgo), con la lancetta, ed ecco che immediatamente il sangue cominciò a scorrere vivo, caldo e rosseggiante”. I presenti ne intinsero fazzoletti; “sovratutti l’Eccellentissimo Principe, che buona parte ne chiuse in un prezioso cristallo, che tutt’ora non lascia di venerarlo, e custodirlo con gelosia, per averlo sperimentato prodigioso nelle sue urgenze”.

 A questo punto viene da chiedere: – Che fine fece quel sangue gelosamente custodito? Fu disperso per ignoranza? Fu trafugato e custodito da qualcuno? -. Tutto resta senza risposta.

Giuseppe Abbruzzo

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