Generazioni perdute
Proponiamo ai nostri lettori questa “nuova” foto inviataci dal nostro Armando Covello, a sua volta ricevuta da Angelo Perrellis. L’immagine si riferisce alla “scolaresca” di Duglia ed è stata scattata nel Dicembre 1929. Al centro il maestro Vincenzo Ferraro.
Non può
sfuggire, anche all’osservazione superficiale, la drammatica omogenizzazione
dei ragazzi, sia negli abiti che nelle espressioni, perlopiù perse e non
gioiose, come normalmente si osserva a quell’età. L’inverno del 1929 rimase
famoso ad Acri per una terribile nevicata: non infrequentemente, per uscire di
casa, era necessario farlo dalle finestre, vista
l’impossibilità di aprire la porta, bloccata dalla neve copiosa. Miseria,
condizioni generali e di vita estremamente precarie, malattie infettive,
mancanza di qualsivoglia forma di assistenza, rendevano l’esistenza una lotta
quotidiana per la sopravvivenza. La foto è suggestiva sotto molti punti di
vista, a cominciare dai destini che accomunarono quelle generazioni, nate in
un tempo non facile. Si tratta di ragazzi
che avevano visto la luce quasi tutti agli
inizi degli anni ‘20 e che, nei primi vent’anni della loro esistenza, hanno conosciuto vari, terribili eventi.
Nel 1922 si impose con la forza il
Fascismo, che dominò per oltre un
ventennio. Stenti, privazioni, infanzia negata,
erano gli elementi costitutivi del vivere
di questi ragazzi. I più fortunati riuscivano a ricevere un minimo di rudimenti del “leggere, scrivere e far di conto”. Le esigenze familiari, la miseria, imponevano
loro di crescere in fretta per fornire
braccia ai campi. Ciò che ha reso ancora
più amaro il loro destino è stata la Seconda guerra mondiale: più della metà
di quelli che si vedono nella foto non
rientrarono dal conflitto e bruciarono la
loro giovinezza o sui campi di battaglia o in quelli di concentramento riservati loro dalle SS dopo l’otto
settembre 1943. Molte delle ragazze
emigrarono, invece, negli anni ‘40 e ‘50 in
Argentina. La
Seconda guerra mondiale fu vissuta, in generale, in maniera molto più disillusa di come i giovani vissero la vigilia
dell’ingresso italiano nella Grande Guerra.
Nel 1915 c’era l’entusiasmo di partecipare
a un conflitto ritenuto, erroneamente, fulmineo e di sicura vittoria, che portò molti giovani ad arruolarsi
volontari. Quell’esperienza fu talmente devastante – sia sul piano della
durata, dei morti, che sul piano delle
attese, in parte deluse, dopo la vittoria
– che la memoria resistette fino al 1940, rendendo quelle generazioni molto più disincantate e per nulla
entusiaste. I giovani chiamati alle armi nel 1940 accolsero la chiamata e si avviarono incontro al
loro destino per puro senso del dovere, ma con intima e sofferta disillusione.
Il concetto di guerra come “sola igiene del mondo” era ormai tramontato e il
conflitto fu vissuto in maniera drammatica dai soldati e dalle famiglie.
Massimo Conocchia
Caro Massimo, è incredibile l’espressione dimessa, triste e innaturalmente matura che si legge sui volti dei bambini ritratti nella foto. E quel che mi viene da considerare è quanto segue: com’ é strana la vita! Noi, vissuti in un’epoca di benessere e di “pace”, abbiamo preparato alle nuove generazioni una società fatta di problemi nuovi e incredibili, che comunque cancellano spensieratezza e serenità. Sembra che la Storia voglia equilibrare ed equiparare gli esseri umani di ogni tempo. Sembra una sua vendetta!
In effetti hai ragione, cara Franca. Sembra che la storia non abbia insegnato nulla: il sacrificio e la sofferenza, i morti, sono stati vanificati dalla stupidità umana, che, già dopo la seconda guerra mondiale, ha fatto sì che le potenze più grosse si spartissero il mondo e corressero a rifornirsi di armi. La cosiddetta “guerra fredda” altro non è stata se non un monumento alla perseveranza umana nella sua stupidità. Grazie per il tuo intervento, Massimo.