LEGGE MERLIN: CONQUISTA DI CIVILTA’ O INCREMENTO DELLO SFRUTTAMENTO CLANDESTINO?
Il 20.02.1958 il Parlamento italiano approvava definitivamente la Legge n. 75, nota come Legge Merlin, dal nome della promotrice e prima firmataria, la senatrice socialista Lina Merlin. Il decorso della legge è stato lungo e travagliato (la prima bozza risale al 1948). Fra gli oppositori si annoverano personaggi del calibro di Indro Montanelli, che ha ben espresso la sua contrarietà nel pamphlet polemico “Addio Wanda” del 1956. La legge, in buona sostanza, ha abolito la regolamentazione della prostituzione in Italia e, di conseguenza, ha portato alla chiusura della case chiuse. Vincenzo Talarico aveva affrontato il tema in uno spassosissimo racconto, “Le escursioni degli intellettuali”, inserito nel volume “Quando l’Italia tollerava” (a cura di L. Fusco. Ed. Canesi, 1965). Particolarmente spassosa appare la descrizione del “commiato” di “Vincenzino” e di Mario Soldati nell’ultimo giorno di vita delle case chiuse, in uno dei bordelli più lussuosi delle Roma bene, quello di Via degli Avignonesi.
Nel corso degli anni, sono stati molteplici i tentativi di revisione della legge Merlin e, anche in tempi recenti, non sono mancati i fautori della riapertura dei bordelli.
Come cronisti, non prendiamo posizione, ci limitiamo a porre dei quesiti, nella speranza di infervorare il dibattito tra i lettori su un tema affatto secondario.
La prima domanda da porsi è: dopo il 1958, lo sfruttamento della prostituzione è cessato o, sotto altre e più insidiose vesti, è aumentato, favorendo un mercato clandestino nel quale la mercificazione – sempre deprecabile – è divenuta ancora più avvilente e degradante?
In linea di principio, non ci appassiona alcuna forma di proibizionismo, che, storicamente, non ha mai centrato l’obiettivo prefissato. Il passaggio dal controllo statale a quello di malavitosi senza scrupoli, certo non ha favorito ciò che la senatrice socialista, nobilmente, si prefiggeva. Il rispetto della donna e la nostra contrarietà a ogni forma di sfruttamento è fuori discussione. In questo caso, però, la questione va posta in maniera diversa: la proibizione della prostituzione è servita a stroncare il fenomeno?
Se rispondessimo di sì, sarebbe un’offesa alle nostre intelligenze.
Si tratta, allora, di trovare nuove forme di regolamentazione del mestiere più antico del mondo, che, rifuggendo da ogni forma di ipocrisia o pseudomoralismo, prenda atto delle reali dimensioni del fenomeno e lo sottragga alla malavita. Qualsiasi forma di perbenismo, di puritanesimo, rispettabilissima, non servirebbe a ridurre le dimensioni del problema, sempre più dilagante e incontrollato. Basta uscire dopo le venti per le strade periferiche di una qualsiasi città italiana per rendersi conto della portata reale della questione. D’altra parte, alcuni importanti Paesi europei, per nulla secondi a noi sul piano delle conquiste sociali e civili, non hanno chiuso gli occhi di fronte al fenomeno e, girando per i centri storici di alcune famose città della mitteleuropa, si possono osservare bordelli in bella mostra.
Ci piacerebbe che sulla questione si avviasse un dibattito tra i nostri lettori: siamo pronti a ospitare gli scritti di chiunque voglia dire la sua sull’argomento.
Massimo Conocchia
Quando ero bambina e in casa veniva fuori l’argomento “case chiuse”, i grandi lo facevano con tono da chiesa, a bassa voce, perché noi bambine non sentissimo e, ancor di più, non capissimo ed io provavo per ciò che non capivo, ma costruivo a bella posta nella mia testa, un misterioso e riverente timore. Una volta diventata grande ho vissuto con indignazione il delicato fenomeno della prostituzione regolamentata dallo Stato e mi sono schierata con la sen. Merlin.
Ebbene oggi, proprio perché contraria a qualsiasi forma di sfruttamento e di violenza; di maltrattamento e di inganno; di umiliazione e di degrado, penso che le case chiuse fossero una protezione per chi praticava quel mestiere e le assicuro, caro dottore Conocchia, che giammai avrei pensato di giungere a tanto con il mio pensiero e con il mio animo.
Sarà banale ma anche a questo proposito mi limito a dire: si stava meglio quando si stava peggio.
Grazie, dottore Conocchia: ogni confronto diventa inevitabilmente una crescita.
Grazie a Lei, cara professoressa, per le sue puntuali ed acute osservazioni. Il problema, come lei ha sottolineato, non è il fenomeno Ma le condizioni in cui queste povere ragazze sono costrette a vivere. In pratica, pur con le migliori intenzioni, sì è cascati dalla padella nella brace, rendendo clandestino, e quindi incontrollabile, un fenomeno dilagante. Il controllo dello Stato garantiva, anche e soprattutto sotto il profilo sanitario, un maggior controllo ed un argine anche nei confronti di alcune malattie sessualmente trasmissibili. PS: la crescita è reciproca ed è molto stimolante interloquire con persone in grado di ampliare i termini del dibattito. Grazie ancora professoressa.