Nicola Fusaro, Acri vola in Seria A
Prima parte: da Acri al Varese
In un periodo storico in cui si registra un proliferare eccessivo di premi e riconoscimenti, dati a chiunque, capita che vi siano protagonisti, e non comprimari, di intere stagioni storiche che gli acresi sembrano aver colpevolmente dimenticato.
Nicola Fusaro negli anni settanta ha portato il nome della città alla ribalta nazionale del calcio, non solo nascondendo le sue origini, ma rimarcandole. Lo fece, ad esempio, in un programma televisivo come “La domenica sportiva”, che teneva svegli e incollati allo schermo, per lo più ancora in bianco e nero, tutti gli italiani della pedata.
Nicola ha spiccato il volo dopo aver consumato energie e scarpe in quel tratto di strada davanti alla scuola di Padia, poco sotto la torre civica, spesso prendendo a calci palloni di stoffa, fatti appositamente confezionare dai sarti acresi. “Poi – ricorda ancora oggi – quando riuscivamo ad avere un pallone vero, per noi era domenica”.
Lo scenario cambia quando da Picitti, in cui abitava con la famiglia, si trasferisce nelle palazzine popolari in quella che allora era Piazza Matteotti. Qui, a un tiro di schioppo c’era il vecchio campo sortivo. Nicola incomincia a prendere parte ai tornei estivi, in cui le squadre prendevano i nomi dei club delle grandi formazioni di Serie A. Nicola Fusaro giocava, poco più che quindicenne, con il Club Juventus. Di quella formazione, ben nove su undici di lì a poco giocheranno in Prima Categoria con l’Acri.
Il suo era un fisico esile, ma questo gli permetteva di assecondare con la velocità un potenziale tecnico che esplode ben presto. I più grandi lo notano subito. “Devo tutto – ricorda – a Mario Scaramuzzo, che allora era allenatore e giocatore dell’Acri. E’ stata una persona eccezionale, che ancora oggi porto nel mio cuore. Dopo averlo fatto con me, venne a casa a parlare con i miei genitori. In verità, ero io a non sentirmi pronto a misurarmi con quella realtà fatta da tanti giocatori molto più grandi e possenti di me”. Di quel periodo, “ricordo anche gli incoraggiamenti di tanti altri, come Vincenzo Scaramuzzo o Pasquale Castrovillari”. Un aneddoto è legato proprio a quest’ultimo: “al mio debutto mi accorsi di non avere le scarpe. Portavo 39, ma Pasquale Castrovillari riuscì a recuperarne un paio di numero 40. Utilizzai quelle, con l’ovatta necessaria a riempire il vuoto”. L’esordio fu di quelli che non dimentichi: “Vincemmo in casa due a zero e io segnai una doppietta”.
Aveva 16 anni, correva la stagione agonistica 1965/66. Fu l’anno del “maledetto” spareggio con il San Lucido, per la Promozione, sul campo della Morrone, a Cosenza. Nicola segnò, ma non fu sufficiente a vincere una partita in cui le tifoserie sugli spalti se le diedero di santa ragione e con un arbitraggio che definire “distratto” ancora oggi è un eufemismo. L’Acri perse, ma Cosenza è uno scenario che garantisce la presenza di occhi attenti. In quella occasione c’erano pure quelli di un fotografo – osservatore, Vecchioni, si accorse di quella velocissima ala destra dai numeri non comuni. Da lì provini con Pisa, Fiorentina e Milan. Alla fine giocherà a Cosenza, disputando il campionato di Serie C. Anche nella squadra bruzia si fece ben volere: “ero particolarmente legato a Pino Faggio, che giocava in difesa, e con il quale continuo a sentirmi tutt’ora”. Legame speciale anche con l’altro acrese, Pasquale Fiore. I ricordi di quel periodo sono nitidi: “allenatore era Oscar Montez. Avevo qualche deficit con il sinistro e lui mi faceva iniziare gli allenamenti con venti minuti di esercizio specifico con la parete. Mi servì molto, perché migliorai il mio sinistro e quindi migliorai le mie potenzialità”.
L’inizio dell’esperienza a Cosenza coincise anche con quattro convocazioni nella nazionale della Serie C. Le sue prestazioni non passarono inosservate, al punto che lo acquista il Varese, per darlo in prestito al Monza. Non ne avrà il tempo, perché fu chiamato a espletare il servizio di leva. Ritornò quindi a Cosenza, per mettersi i disposizione alle “Casermette”.
In riva al Crati rimarrà due anni, per poi far ritorno al Varese, che deteneva il suo cartellino. In quella formazione c’era gente del calibro di Roberto Bettega, Pietro Anastasi e Giovanni Trapattoni, solo per citare qualche nome.
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