CRISI DELLA POLITICA E CROLLO DELLE IDEOLOGIE
Un’analisi, neanche tanto approfondita, della storia nazionale degli ultimi trent’anni impone alcune considerazioni, che riteniamo essenziali per meglio comprendere l’attuale, desolante, quadro politico-sociale del nostro Paese.
Uno spartiacque essenziale, nello studio delle dinamiche che ci hanno condotto alla situazione presente, è rappresentato dagli eventi che caratterizzarono, in Italia, i primi anni Novanta del secolo scorso. Prima di quella data, esistevano due schieramenti politici contrapposti: da una parte il P.C.I., da sempre forza di opposizione, dall’altra la D.C., forza di governo, insieme agli alleati (P.S.I; P.L.I.; P.R.I.; P.S.D.I.). Si trattava di una contrapposizione ideologica, prima ancora che di schieramento; in essa si riconoscevano, su opposte sponde, buona parte degli italiani, che, in quei simboli, sbiaditi nel corso degli anni, si sono identificati, esprimendo una fede in due visioni del mondo contrapposte ed antitetiche.
Di colpo, agli albori degli anni Novanta, tutto è cambiato: il P.C.I., rimasto schiacciato e coperto dalle macerie e dalla polvere dei calcinacci del muro di Berlino, è stato costretto a una rapida e affatto indolore metamorfosi. Non saprei dire in che misura il cambiamento fu di sostanza e mentalità e quanto di forma.
La D.C. e il P.S.I., spazzati via dalla bufera di “Tangentopoli”, hanno prodotto una serie di transfughi in cerca di nuova collocazione, in buona parte, poi, accolti in quella gigantesca Arca di Noè, che si apprestava a costruire il Cavaliere, il quale, approfittando dell’inettitudine del PDS di Occhetto e del P.P.I di Martinazzoli (eredi diretti rispettivamente di P.C.I. e D.C.) , è riuscito a imporsi alle elezioni del 1994.
Ciò che è successo negli anni successivi – e via via fino ai giorni nostri – altro non è se non lo specchio di uno stato confusionale, a tratti schizofrenico, nel cui ambito, i vari interpreti, a destra come a sx, hanno avuto un unico obiettivo, la propria autoconservazione.
Lo stesso progetto dell’Ulivo, messo in campo genuinamente e con convinzione da Romano Prodi – che per due volte è riuscito a sconfiggere Berlusconi – è naufragato non sotto il fuoco avversario della Destra, ma, com’è spesso accaduto nella storia della Sinistra italiana, sotto il fuoco amico dei “compagnucci”, che hanno fagocitato il loro leader, grazie ad accordi sottobanco e congiure di palazzo. L’obiettivo, nel centrosinistra, è stato sempre lo stesso: fare fuori le figure scomode, poco funzionali, spesso ingombranti, a vantaggio della preservazione di un’oligarchia di “simili”.
D’altra parte, l’Ulivo prima e il PD poi, più che una soluzione hanno rappresentato, politicamente, una strana e insolubile emulsione fra due elementi antitetici: ex democristiani (cioè ex anticomunisti) che si fondevano con ex comunisti (cioè ex antidemocristiani). Il risultato è quello a cui abbiamo assistito negli ultimi anni, cioè la coabitazione forzata, sotto lo stesso tetto, fra due anime totalmente diverse. Quello che doveva rappresentare l’elemento di novità, il “rottamatore”, ha rappresentato, in definitiva, il colpo di grazia: ha preteso di rottamare e rinnovare servendosi, nelle varie regioni, delle forze più vecchie e auto conservatrici, che, transitando dall’una all’altra insegna, hanno trovato il sistema di sopravvivere. La nostra regione è forse quella più paradigmatica da questo punto di vista: basta guardare i vari interpreti della politica regionale e nazionale e vedere da quanti anni sono sulla scena. Per alcuni ci avviciniamo al mezzo secolo. In qualche caso, il turnover è stato mortificante per l’elettorato, in quanto avvenuto nello stesso ambito familiare.
Se guardiamo alla vicina Campania e a quelli che erano i renziani della prima ora, il quadro è pressoché simile.
La Destra è entrata in crisi con l’offuscarsi della personalità del proprio leader, in parte per ragioni anagrafiche, in parte per ragioni più profonde. I partiti satelliti, venuto meno il collante dell’astro principale, si sono rapidamente dissolti al pari di meteore.
Questa ampia premessa era necessaria per capire la situazione attuale.
Il venir meno delle ideologie non è stato sostituito, come pure è avvenuto in altri Paesi europei, dalla nascita di due schieramenti omogenei al loro interno (uno progressista e uno conservatore), ma da due armate brancaleone, animati da divisioni e contrasti interni e aventi come unico interesse la preservazione dei loro personalissimi privilegi.
Se non tenessimo conto di tutto questo, non potremmo capire l’expoit dei populismi, lo straordinario successo di movimenti nati come antitesi della politica di palazzo e, soprattutto, ci sfuggirebbero le ragioni dell’eutanasia di partiti e movimenti, che hanno definitivamente perso faccia e credibilità. La crescita dei nazionalismi e dei populismi si spiega col progressivo scollamento fra i bisogni della gente e la cosiddetta “realpolitik”: ciò che è avvenuto in Francia con i “gilet gialli” è emblematico di come la miopia di una classe dirigente possa essere tale da impedirle di percepire il baratro in cui sta portando un Paese, oltre che se stessa. La nostra fortuna è che siamo, come popolo, meno portati e meno determinati verso forme estreme di protesta.
Cosa ci riserberà il futuro è difficile dire: rifuggendo da qualsiasi pronostico, ci permettiamo solo di osservare che, dalle macerie attuali, ben difficilmente si potrà ricostruire una situazione simile al “quo ante”. Esiste una sola via d’uscita e passa attraverso un recupero di credibilità, per ottenere il quale non si può prescindere da un radicale azzeramento. Condizione, quest’ultima, essenziale ma nella quale non confidiamo molto: restiamo convinti che chi si trova a gestire i “bottoni”, anche a costo di distruggere tutto, sarà disposto a morire pur di non cedere un centimetro di quanto, da decenni, sta usurpando.
Al cittadino non resterà altra via, allora, che utilizzare l’unico strumento che ha ancora a disposizione e che, fortunatamente, per quanto riguarda le prossime elezioni europee e le successive regionali, non sono ancora riusciti a depotenziare.