FIGURE D’ALTRI TEMPI: ‘U JETTABANNU
Una figura che fa parte dei miei ricordi rarefatti d’infanzia è quella del banditore, il cosiddetto “jettabannu”.
Si trattava di una personaggio molto diffuso ad Acri – come nella maggior parte delle realtà paesane del Sud Italia -, attivo fino ai primi anni Settanta del secolo scorso. Era uno strumento essenziale per la diffusione delle notizie, in realtà dove il tasso di analfabetismo era ancora alto e l’utilizzo del manifesto avrebbe avuto scarsa incidenza.
U jettabannu era assoldato dal Comune, che gli affidava notizie urgenti e di pubblica utilità da comunicare alla cittadinanza. L’unico requisito richiesto era una voce altisonante, amplificata dalla cosiddetta “tromba”, un rudimentale megafono meccanico.
Ripensandoci, mi sovviene alla mente questa figura imponente, che incuteva non poca paura.
“Tuh! Tuh! dumàni manca l’acqua; su arrivàti i pisci alla chiazza!”: erano queste alcune delle notizie tipo, affidate al nostro uomo.
Non so quanti più giovani del sottoscritto ricordino la figura appena descritta. Ci piace scriverne per dare testimonianza di un mondo in bianco e nero, che sembra oggi lontanissimo, quasi preistorico. Eppure, non è passato che mezzo secolo da quando il banditore si aggirava per le nostre strade e i nostri quartieri. Riportarlo alla luce oggi, nell’era di internet, dei social, della comunicazione istantanea, ci da l’idea sicuramente della strada percorsa e dei notevoli passi in avanti, ma ci consente anche di prendere coscienza del rovescio della medaglia. Siamo passati da una comunicazione essenziale, porta a porta, a un abuso di strumenti di comunicazione, che finiscono, spesso, per violare la nostra privacy, entrare nelle nostre case, invadere il nostro intimo, col gusto morboso di chi si diverte a guardare dal buco della serratura.
Con questo non si vuole in alcun modo rinnegare il progresso, meno che mai sostenere un impossibile viaggio a ritroso. La ricerca di un punto di equilibrio, tra il recupero di alcuni valori e l’irrinunciabile progresso tecnico, riteniamo, però, si imponga.
MASSIMO CONOCCHIA
lo ricordo perfettamente per le vie di Acri e come lui ricordo “U capillèaru” e “U carbunèaru” tutti personaggi particolari che a noi ragazzi a volte incutevano paura.
Hai ragione Angelo: erano tante le figure che si aggiravano per le nostra vie. Altri esempi che mi sovvengono sono lo stagnaro, “‘u conzaumbrelli”, etc. Un caro saluto, M.C. .
Grazie Massimo. Anch’io mi ricordo di questo “personaggio” d’altri tempi. E mi ricordo come ha aggiunto qualcuno dello stagnino e del conzaunmbrelli. In particolare mi ricordo e du capillearu di cui ne parlo in una mia poesia da titolo Padìa. Un uomo con una grande cesta di vimini sulle spalle con dentro un pò di tutto. Aghi e filo, merletti e spingole francesi. Ma soprattutto i fiori di plastica che facevano tanto gola a mia madre. Il baratto consisteva in alcune ciocche di capelli con due o tre garofani da mettere nel portafiori sulla tavola – della sala/ camera da letto. Ma il ricordo più bello lo conservo per Giuseppe u scupaturu al quale davo il buongiorno quando andavo a scuola. Così mi aveva insegnato mia zia Marietta. Con la sua carriola in legno girava per tutte le “cavarelle” di Padià per tenere pulite le vie. Un secolo fa? Ma quanto era tutto più bello e più umano.!
Caro Francesco, che bello rievocare figure, immagini di un mondo andato ma al quale ci legano ricordi, affetti. Tu sei riuscito in maniera mirabile a dare un affresco vivo, incisivo, di altre figure di quel tempo. Grazie per il tuo contributo della tua partecipazione. Un caro Francesco, che bello rievocare figure immagini di un mondo andato, ma al quale ci legano ricordi, affetti. Tu sei riuscito in maniera mirabile a dare un affresco vivo, incisivo, di altre figure di quel tempo. Grazie per il tuo contributo della tua partecipazione. Un abbraccio, massimo
Quanta nostalgia nelle parole appena lette, sia in quelle dell’eclettico dr. Conocchia, che in quelle del poeta Francesco Curto. Si legge bene il rimpianto di una vita più essenziale e genuina, ma consolatevi, quella spontaneità non esiste più neanche nella vostra tanto amata terra natale. Perché vedete, è normale che le figure umane di cui parlavate siano sparite, ma nn è normale che sia sparita anche la facilità di approccio che in centri come il nostro si presume sia possibile determinare e coltivare. È bello incontrarvi su acrinews, cari e nostalgici amici sognatori!
Cara Franca, come darti torto? Tu metti il dito e poni attenzione su un punto nevralgico: anche in realtà come Acri si è persa la spontaneità nei rapporti e non solo: si è perso quel senso di solidarietà, di disponibilità reciproca, che costituiva, in mezzo a tanta miseria, una vera ricchezza. Grazie per le tue sollecitazioni: è bello anche per noi incontrarti e interloquire.
Progresso significa guardare sempre avanti e nello stesso tempo cercare di preservare la tradizione!!!
Giustissimo Rosetta, nella tradizione ci sono le nostre radici, trascurarle significa inaridirci.