I nuovi volti dell’emigrazione.
Parlare, oggi, di emigrazione in Italia può sembrare apparentemente anacronistico. In realtà, l’emigrazione dal Meridione non è mai cessata. Ciò che è cambiato negli ultimi anni è la tipologia dell’emigrante e, con essa, sono cambiate le prospettive e la portata del fenomeno migratorio. L’emigrazione dei nostri padri, attiva fino a tutto il secolo passato, era un’emigrazione dettata da necessità impellenti, dal bisogno di sfamare la famiglia, fornirgli una dimora decente, assicurare il diritto allo studio ai figli. Con quelle rimesse molti sono riusciti a completare un percorso di formazione e gettare le premesse per un futuro migliore rispetto a quello dei propri padri.
Grazie a quelle rimesse – complice anche l’assenza di concrete prospettive dopo la scuola dell’obbligo – le nuove generazioni hanno raggiunto un altissimo livello di scolarizzazione e il Meridione è, oggi, una delle zone a più alta densità di laureati.
In tempi più recenti, però, è cambiata totalmente la tipologia dell’emigrante e ad andare via non sono più i padri con la valigia di cartone ma i figli, con il loro corposo capitale umano e culturale.
I padri che emigravano erano mantenuti in vita da un’unica speranza, quella di ritornare.
Chi emigra oggi non è spinto da necessità impellenti, il tozzo di pane non gli manca: il bisogno di uscire è dettato dalla ricerca dell’eccellenza, dall’attrattiva profonda esercitata da Paesi in grado di valorizzare al meglio le professionalità.
Non è più la valigia di cartone il prototipo ma il computer.
Si tratta, in definitiva, di un fenomeno molto più grave e pericoloso rispetto alla prima emigrazione, in quanto si traduce in un impoverimento non solo e non tanto materiale, ma soprattutto culturale, perchè priva le nostre realtà, spesso, delle energie migliori, che trovano maggiori e più adeguati spazi in altri luoghi, in grado di accoglierli e valorizzarli.
Non è uno stereotipo, sappiamo che ci sono molti che decidono di restare e investire le loro energie e la loro cultura nella nostra terra. A loro va il nostro rispetto e la più profonda ammirazione. E’ innegabile, comunque, che i più scelgono la strada che li porta fuori e – in molti casi, per fortuna – quella scelta li ripaga con gratificazioni e valorizzazioni del loro sapere, delle loro intelligenze. A noi non resta che essere fieri di tutti coloro che sfondano e si fanno strada, dentro e fuori la Calabria. Quello a cui assistiamo oggi è, in definitiva, un’emorragia costante che, iniziata come uno stillicidio, si sta ampliando e ci porta a un progressivo depauperamento. E’ triste pensare di allevare, far crescere i propri figli, formarli e costringerli, poi, a esprimere le loro professionalità altrove. In questa metamorfosi socio-antropologia il prezzo più alto lo paga, ancora una volta, chi rimane, perchè si ritrova ad agire e operare in un ambiente privato delle sue energie migliori, fisiche ed intellettuali.
Insieme alla perdita di una parte corposa del proprio capitale umano, il Sud si ritrova, in tempi recenti, a fare i conti con la rarefazione dei propri valori, delle proprie tradizioni, viste, in molti casi, come un fardello di cui liberarsi, in nome di una supposta modernità. Si assiste alla scomparsa di tutto un mondo, che dovrebbe, invece, fare parte integrante del nostro background.
La perdita della civiltà contadina, in cambio del progresso, ci ha portato a rinunciare a un mondo di valori arcaici e preziosi. Quel mondo scomparso non era fatto solo di miseria materiale. Era una realtà complessa e affascinante dove trovavano cittadinanza sentimenti profondi: solidarietà, rispetto, determinazione, coraggio, spirito di sacrificio, idealità, etc, che si facevano strada in mezzo ad altri sentimenti e valori certamente meno nobili come la sopraffazione, l’indigenza, l’odio, l’invidia la vendetta. In sintesi, in quella che Pier Paolo Pasolini denuncerà – riferendosi all’intero Paese – come “mutazione antropologica” c’è sostanzialmente la trasformazione di una civiltà contadina in una edonistica e consumistica, come da più parti è stato sottolineato. In questa mutazione il Sud, anello più debole, ha finito per pagare il prezzo più alto, ritrovandosi, oggi, ad avere perso, insieme a quei valori preziosi, molti sei suoi figli migliori.
Triste ma vero quanto con amarezza il dott. Conocchia scrive! E il dott Conocchia ha vissuto sulla sua pelle la seconda forma di emigrazione, che, però, ha vissuto, sì con fatica, ma con la voglia e la forza di restituire, anche da lontano, quanto la sua terra di origine gli aveva procurato e inculcato!
Ringraziamo la professoressa Azzarelli per le sue considerazioni, su cui non possiamo che convenire. La sfida è proprio questa: chi parte deve avere l’obiettivo di un ritorno e soprattutto deve essere grato alla propria culla . Le nostre origini, i nostri valori sono un patrimonio inestimabile, che nessun falso progresso potrà mai cancellare. Bisogna essere sempre orgogliosi delle proprie radici e ostentarle anche al di fuori del proprio ambiente. Ancora un grazie sincero, nella speranza di potere ancora interloquire su queste pagine.